Sono passati sei anni da quando il batterio della Xylella fastidiosa fu scoperto in alcuni ulivi nelle campagne di Gallipoli, nel Salento. Da allora, questo pericoloso organismo nocivo si è diffuso a macchia d’olio su gran parte del territorio pugliese, infestando e seccando un numero impressionante di alberi, prima nella provincia di Lecce, poi intaccando il patrimonio olivicolo di Brindisi e Taranto, per spingersi fino a Monopoli, nel sud barese. Milioni di ulivi secchi, crollo della produzione e almeno 5.000 posti di lavoro persi sono le dirette conseguenze di questa terribile epidemia che ha messo in ginocchio la filiera olivicola-olearia della Puglia la quale, va ricordato, fornisce quasi la metà di tutto l’olio made in Italy.
Nel corso di questi sei anni tutte le misure adottate dalle istituzioni locali e nazionali per fermare il contagio evidentemente non sono state sufficienti, anzi sono state piuttosto confuse ed è mancata una strategia chiara, tempestiva ed efficace. Basti pensare che dalla scoperta del batterio alla delibera del Consiglio dei ministri con la quale veniva dichiarato lo stato di emergenza del territorio pugliese sono passati ben 16 mesi. Gli abbattimenti degli ulivi infetti predisposti dall’ex commissario delegato dal governo, inoltre, sono stati continuamente bloccati da diversi ricorsi di imprenditori e da sentenze dei Tar. A rendere la situazione ancora più caotica, poi, sono intervenute teorie complottiste alimentate dai media che hanno negato o minimizzato il ruolo del batterio nel disseccamento degli ulivi, oltre alla promozione di alcune discutibili soluzioni alternative all’eradicazione delle piante. Nel frattempo l’epidemia prosperava.
Cosa ne pensano le principali associazioni di categoria dell’emergenza Xylella, anche considerando che la Corte di giustizia europea ha recentemente condannato il nostro Paese per non aver attuato tutte le misure necessarie per impedire il contagio?
«Accogliamo con estrema preoccupazione la condanna nella causa che vede da una parte la Commissione Ue e dall’altra l’Italia – afferma Dino Scanavino, presidente nazionale della Confederazione italiana agricoltori (Cia) – dopo l’esito della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, ora temiamo inevitabili effetti negativi su tutto il comparto olivicolo nazionale, che rappresenta uno dei pilastri del Made in Italy agroalimentare. Non bisogna abbassare la guardia e occorre seguire alla lettera i protocolli scientifici senza rincorrere notizie false e teorie surreali, che tanto credito hanno avuto in questi ultimi anni».
Proprio sul tema delle sperimentazioni l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) lo scorso maggio ha pubblicato un aggiornamento della propria valutazione scientifica affermando che attualmente non esiste ancora un modo conosciuto per eliminare il batterio della Xylella fastidiosa da una pianta malata, pur riconoscendo l’efficacia di alcune misure nel ridurre temporaneamente la gravità della malattia.
«Serve una strategia condivisa tra enti regionali, nazionali e comunitari per fermare l’epidemia e ridare speranza di futuro a territori che hanno perso l’intero patrimonio olivicolo e paesaggistico – spiega Ettore Prandini, presidente nazionale di Coldiretti – un cambio di passo nelle misure di prevenzione e di intervento sia a livello comunitario sia nazionale. Gli errori, le incertezze e gli scaricabarile che hanno favorito l’avanzare del contagio hanno provocato danni stimati dalla Coldiretti in 1,2 miliardi di euro con effetti disastrosi sul piano ambientale, economico e occupazionale. Occorre fermare l’epidemia e programmare il futuro con il sostegno di nuovi impianti resistenti e dell’intera filiera per non svendere all’estero una patrimonio insostituibile per la Puglia e l’Italia intera. Bisogna ridare agli agricoltori le chiavi delle loro aziende e il loro futuro, attraverso i reimpianti, gli innesti e la sperimentazione, privilegiando tutte le piante ospiti appartenenti a varietà per le quali vi sia una evidenza scientifica su tolleranza e resistenza al batterio».
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