La rete di distribuzione dei carburanti del nostro Paese sta attraversando da qualche anno una delicata fase di transizione, caratterizzata da diversi cambiamenti sostanziali, ma anche da molte incertezze. Tutti gli operatori del settore, ad esempio, dalle grandi società petrolifere fino ai piccoli proprietari di impianti, hanno modificato radicalmente il proprio modello di business, mentre la riorganizzazione della rete continua a evidenziare molti elementi critici soprattutto in termini di efficienza. In questo scenario di difficile lettura, comunque, il settore della distribuzione dei carburanti è chiamato a dover fronteggiare nuove sfide nel campo dei combustibili a basso impatto ambientale, così come in quello dei veicoli elettrici e dei prodotti a componente bio, verso il raggiungimento di una mobilità più sostenibile.
Nell’ultimo decennio si è verificata una progressiva riduzione dei consumi di carburanti per autotrazione causata sia dall’impatto della crisi economica sia dall’aumento dell’efficienza dei motori: le vendite di benzina, gasolio e Gpl dal 2007 al 2018 – secondo i dati elaborati da Unione petrolifera – hanno fatto registrare una contrazione del 17%, che arriva a -60% se si considera esclusivamente la rete autostradale. Nello stesso periodo, l’elevato numero dei punti vendita si è ridotto soltanto marginalmente, passando da 22.500 a 21.000 (-7%). L’erogato medio per impianto rimane il più basso d’Europa e si attesta sui 1.370 metri cubi all’anno, pari a circa un terzo di quello di Regno Unito, Francia e Germania. L’Italia risulta molto indietro rispetto agli altri Paesi europei anche nello sviluppo delle attività non-oil, le quali non soltanto sono scarsamente diffuse, ma anche dove presenti contribuiscono marginalmente ai ricavi del punto vendita: sul territorio nazionale appena il 20% degli impianti è dotato di servizi che vanno oltre il rifornimento di carburanti, mentre in Germania sono il 92%, nel Regno Unito quasi nove su dieci, in Spagna e in Francia tre su quattro.
Considerate le varie peculiarità del nostro Paese rispetto all’Europa, come le caratteristiche territoriali, la densità veicolare, il tasso di urbanizzazione e le infrastrutture stradali, il numero ottimale di punti vendita stimato da Unione petrolifera dovrebbe aggirarsi su circa 15.000. Quella italiana, quindi, è ancora una rete ridondante e con moltissimi impianti economicamente insostenibili, mentre la sua razionalizzazione è praticamente ferma nonostante nel corso degli anni si siano succedute diverse misure di legge per accelerarne la modernizzazione, che però non hanno portato ai risultati sperati.
Poi c’è il fenomeno delle pratiche illegali lungo tutta la filiera, la cui diffusione impedisce una sana concorrenza e – secondo le stime dell’ultimo dossier realizzato dalla Federazione autonoma italiana benzinai (Faib) – costa al fisco italiano circa 4 miliardi di euro all’anno, considerando il mancato gettito di Iva, accise e imposta sul reddito. Si tratta di una tendenza aumentata in misura notevole negli ultimi tempi soprattutto in seguito alla moltiplicazione degli operatori della logistica e della rete, che può essere arginata soltanto con controlli più numerosi e veloci, oltre all’utilizzo di strumenti digitali in ogni attività della rete distributiva. La digitalizzazione, infatti, oltre a rendere il settore più efficiente, consentirebbe una maggiore sinergia operativa tra gli organi di controllo, l’affinamento dell’analisi di rischio, il continuo aggiornamento del mercato dei carburanti per favorire controlli mirati e la riduzione dei tempi di intervento da parte delle autorità in presenza di comportamenti illeciti. Anche il largo utilizzo di strumenti elettronici di pagamento sulla rete carburanti sarebbe un’ottima arma per limitare le pratiche illegali, ma il contante risulta ancora la soluzione preferita dagli italiani. Dal 2016 a oggi, secondo i calcoli effettuati da Unione petrolifera, l’uso del cash per i rifornimenti è diminuito meno del 10% e rappresenta ancora la metà di tutte le transazioni sui volumi venduti, seguito dalle carte di debito (23%), dalle carte petrolifere (18%) e dalle carte di credito (9%).
Se non nel numero dei punti vendita, la rete italiana sta sicuramente cambiando molto almeno in termini di assetti proprietari. Il mercato italiano dei carburanti negli ultimi dieci anni, infatti, si è molto polverizzato, essendo aumentati notevolmente gli operatori: i 21.000 punti vendita presenti in Italia sono riconducibili a oltre 200 marchi e circa un quarto della rete è gestito da operatori con meno di 30 impianti. I soggetti indipendenti stanno prendendo sempre più piede e gran parte dei nuovi investimenti sulla rete e sugli impianti è realizzata proprio da loro, soprattutto nell’ambito dell’offerta di carburanti alternativi. Secondo i numeri di Assopetroli, infatti, in termini di proprietà, sui 4.200 punti vendita di Gpl presenti nel nostro Paese gli indipendenti incidono per il 60%, mentre per quanto concerne i 1.400 impianti di metano il peso è dell’80% e nel caso dei 55 punti vendita di Gnl l’incidenza sale addirittura al 90%.
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