Un mercato ridisegnato

di Fabio Massi

Periodo di cambiamenti in Italia: la mancanza di punti di riferimento chiari ha favorito l’aumento incontrollato dei distributori indipendenti, ma anche l’affermarsi della gdo.

Il settore della distribuzione dei carburanti per autotrazione ha fatto registrare negli ultimi due decenni una profonda trasformazione. Dal 1998 in poi, infatti, si sono succedute diverse normative nazionali che, da una parte, hanno dato il via a un processo di razionalizzazione della rete teso a ridurre drasticamente l’elevato numero degli impianti presenti nella Penisola – anomalia tutta italiana rispetto al resto d’Europa – e, dall’altra, hanno incoraggiato una maggiore concorrenza tra gli operatori.

Questa evoluzione ha ridisegnato inevitabilmente la mappa del mercato, ma ha anche contribuito a generare un certo caos, a cominciare dalla tipologia dei vari player coinvolti. Fino a pochi anni fa, la quasi totalità dei distributori di benzina attivi sul territorio italiano era infatti costituita da impianti “colorati”, cioè con marchi di compagnie petrolifere verticalmente integrate, mentre una quota inferiore al 10% era rappresentata dalle cosiddette “pompe bianche” senza brand e non legate direttamente alle società petrolifere. Oggi, invece, la situazione è più ingarbugliata: a ottobre dello scorso anno – secondo i dati elaborati dall’Osservatorio prezzi carburanti del Ministero dello Sviluppo economico – il numero complessivo dei distributori di carburante superava le 20.300 unità, di cui oltre il 76% (circa 15.500) era costituito da impianti “colorati”, il 15% da “pompe bianche” generiche (poco più di 3.000), l’8,3% da pompe indipendenti con loghi personalizzati (quasi 1.700) e lo 0,5% da impianti con marchi appartenenti alle insegne della Gdo (circa un centinaio).

Rispetto a una decina di anni fa, i distributori presenti su tutta la rete sono diminuiti del 10% (nel 2007 erano circa 22.600), un trend dovuto alla forte contrazione fatta registrare dalle pompe colorate, passate da 21.400 a 15.500 (-27,6%). Questo calo ha riguardato soprattutto gli impianti indipendenti convenzionati con le compagnie petrolifere, molti dei quali hanno intrapreso la strada dell’autonomia. Gli operatori che espongono un marchio proprio, infatti, sono aumentati del 300%, passando dai 1.200 del 2007 agli oltre 4.800 dello scorso anno.
Proprio in conseguenza del forte aumento delle pompe bianche, nel febbraio del 2015 il Ministero dello Sviluppo economico ha concesso agli operatori indipendenti la possibilità di personalizzare il proprio logo con l’obiettivo di distinguersi dalla massa indistinta che si è via via venuta a formare. Questa opportunità era stata limitata in un primo momento alle sole reti che avevano almeno 15 impianti, ma poi è stata estesa a qualunque soggetto, anche se proprietario di un singolo distributore. Il risultato è che fino a ottobre dello scorso anno il 37,5% delle pompe bianche risulta registrato con il proprio marchio (circa 1.800), mentre sulla rete nazionale sventolano ben 156 bandiere diverse.

Se si analizza l’estensione delle reti per così dire riconoscibili (colorate, pompe bianche con logo proprio e Gdo), emerge una dimensione media delle compagnie indipendenti molto contenuta. Più della metà delle bandiere evidenziate (79), infatti, ha tra 1 e 5 impianti, e di queste 40 marchi hanno un solo distributore (circa un quarto del totale). Un’altra cinquantina di reti detiene da 6 a 20 pompe, mentre soltanto due hanno tra 201 e 300 impianti. Le tradizionali compagnie petrolifere, invece, seppure impegnate in una fase di generale ridimensionamento delle proprie reti, sono tutte concentrate nella classe con la maggiore numerosità di distributori, cioè con più di 1.000.

«A partire dagli anni ’90 il mercato è stato caratterizzato da una forte concorrenza tra le società petrolifere – spiega Alessandro Proietti, presidente di Assoindipendenti – la cui causa principale è da attribuire soprattutto al consolidarsi di un significativo sbilanciamento tra domanda e offerta. La sostanziale rigidità dell’offerta a fronte di una domanda complessiva oil tendente al ribasso ha reso inevitabile una dura concorrenza per mantenere e/o aumentare i volumi e le quote di mercato. La dimostrazione è nella sequenza di strategie di marketing alquanto “scomposte”, tutte apparentemente nella logica del breve termine e del contingente. A mio parere, il fattore più preoccupante e che ha avuto effetto sulla rapida proliferazione delle pompe bianche è da mettersi in relazione alla percezione che i market leader non avessero la capacità di reagire alla situazione da loro stessi originata, a cominciare dalla “endless story” della razionalizzazione della rete».
Una percezione che si è poi rivelata corretta, come dimostrano le recenti strategie di disimpegno parziale o totale di quasi tutte le grandi società petrolifere, forse preoccupate per un futuro che prospetta ipotesi di una complessità diversa rispetto al passato, fuori schema, senza certezze e con più rischi.

«I marchi indipendenti sono anche il prodotto di questa involuzione del mercato – continua Alessandro Proietti – della confusione che lo domina, dell’assenza di chiari punti di riferimento, non nei player abituali né tanto meno nelle istituzioni. Infatti, nel momento che è caduto il “totem” dell’affidabilità nelle maggiori società petrolifere era inevitabile che i privati cercassero di riprendere il controllo diretto degli obiettivi, delle strategie, dei fattori che determinano i risultati economici, insomma il futuro delle loro attività, del loro destino».
Secondo il presidente di Assoindipendenti, nel breve termine il nostro Paese sarà caratterizzato da una rete di distribuzione carburanti ancora molto polverizzata, ma col passare del tempo gran parte degli impianti e delle reti minori tenderà a scomparire o cercherà di aggregarsi ad altre realtà più efficienti. In futuro, perciò, con un consumatore sempre più informato e maturo nelle attitudini di acquisto, potremmo avere un’attività di retailing “oil e non-oil” gestita quasi esclusivamente da imprese indipendenti vecchie e nuove, comprese le insegne della Gdo, che nel tempo avranno trovato forme di aggregazione tali da acquisire un importante potere negoziale che oggi manca a causa dell’eccessiva polverizzazione della rete.

Oggi il numero dei distributori di carburanti, infatti, continua a rimanere sovradimensionato rispetto all’effettiva domanda, nonostante la chiusura del 40% di quelli esistenti trent’anni fa e la riduzione progressiva del quantitativo medio di carburanti erogato negli ultimi dieci anni: -20% sulla rete stradale e -58% sulle autostrade. Più di 6.500 impianti su cui sventolano le bandiere delle grandi compagnie petrolifere in realtà sono di proprietà dei retisti indipendenti, mentre le insegne della Gdo nell’ultimo biennio hanno praticamente raddoppiato il numero di pompe a marchio proprio.
«Le società private, dopo anni di convenzionamento con i brand petroliferi, hanno intrapreso strategie nuove – afferma Riccardo Ravelli, responsabile sviluppo carburanti di Carrefour Italia – creando nuovi marchi e puntando necessariamente su un prezzo di vendita più aggressivo. Nello stesso tempo, le compagnie petrolifere con l’avallo da parte del Ministero dello Sviluppo economico hanno concepito nuovi contratti per la gestione delle stazioni per abbattere i relativi costi. Anche il nostro Gruppo si è adeguato rapidamente, pianificando un processo di selfizzazione della rete che ha permesso di conformare le stazioni al nuovo contesto con riscontri molto positivi. Questo processo è completo all’80% e contiamo di portarlo a termine entro i prossimi anni».

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