Tre colossi americani della ristorazione veloce stanno aprendo molti punti vendita in diverse città italiane, utilizzando strategie di marketing innovative, con l’obiettivo di radicarsi nel territorio.
In tempi in cui si parla molto di tutela del made in Italy, di valorizzazione delle tante eccellenze enogastronomiche locali e mentre il consumatore è sempre più attento non soltanto alla qualità dei cibi, ma anche alla loro provenienza, potrebbe apparire singolare l’attuale avanzata sul territorio italiano di tre colossi della ristorazione veloce a stelle e strisce del calibro di Burger King, Kentucky fried chicken (Kfc) e Domino’s Pizza. In realtà, queste grandi aziende operano con strategie molto efficaci e possiedono punti di forza su cui pochi competitor possono contare.
Fra i tre brand internazionali Burger King è quello presente dal maggior numero di anni sul mercato italiano, avendo inaugurato il suo primo ristorante nel 1999 a Milano. Oggi conta 148 locali in tutta la penisola e, all’inizio di quest’anno, ha annunciato un massiccio piano di investimento – già partito – che prevede 300 nuove aperture e l’assunzione di 10.000 lavoratori in cinque anni.
«Le aperture riguardano quasi tutto il territorio nazionale e abbiamo richieste da ogni parte del Paese – spiega Joaquín Salvo, general manager di Burger King restaurants Italia – un andamento che non fa che confermare le nostre previsioni e il gradimento dei nostri ristoranti tra il pubblico italiano. Stiamo lavorando attraverso una strategia che bilancia la promozione dei nostri prodotti, tra cui quella dei King nuggets lanciata a gennaio in occasione del cambio ricetta che li ha resi ancora più croccanti, e le campagne di comunicazione sul brand, come ad esempio l’ultima sugli Umarells (i vecchietti che guardano i cantieri), che ha riscosso un grandissimo successo».
Fondata nel 1954, Burger King è una delle maggiori catene americane di ristorazione a livello globale con circa 14.000 ristoranti in oltre 100 Paesi, in cui si servono ogni giorno più di 11 milioni di persone. Quasi tutti i punti vendita sono di proprietà e gestiti da affiliati indipendenti, molti dei quali ormai da decenni. Oggi Burger King è di proprietà di Restaurant brands international, una delle più grandi aziende nel mondo della ristorazione con circa 23 miliardi di dollari nel sistema di vendita, mentre in Italia il brand viene controllato dalla società Bksee (Burger King south Europe east) che si occupa del marchio anche in Polonia, in Romania e in Grecia.
«I nostri principali obiettivi – continua Joaquín Salvo – sono raggiungere un pubblico trasversale fatto di giovani, famiglie, clienti di tutte le età attraverso messaggi importanti che puntano sulla qualità del nostro cibo, sui prezzi accessibili, sulla capillarità della rete dei punti vendita in forte aumento e sul nuovo design dei ristoranti che permette di accogliere i nostri clienti in un ambiente più piacevole e innovativo. Tutto questo viene affiancato e supportato dalle nostre iniziative digital con il lancio a febbraio della nuova app e, nel marzo scorso, del nuovo sito web.
Alla base della nostra strategia c’è la formazione professionale del personale e per questo abbiamo istituito la Burger King academy, con sede a Segrate (Milano), grazie alla quale i nuovi manager potranno affrontare con la migliore preparazione possibile il delicato e competitivo mondo della ristorazione».
Grazie alle sue recenti campagne di comunicazione Burger King Italia si è aggiudicato quest’anno il prestigioso “Superbrands award 2016”, riconoscimento che premia nelle varie categorie i migliori brand presenti sui mercati internazionali e che rappresenta un certificato d’eccellenza a livello mondiale.
Sempre in termini planetari, oggi la più famosa catena di ristoranti che servono pollo fritto è certamente Kentucky fried chicken (Kfc). Nata negli Stati Uniti nel 1930, oggi è leader del mercato di riferimento con quasi 20.000 locali in 125 Paesi e occupa circa 750.000 persone. L’azienda con la celebre effige del colonnello Sanders appartiene a Yum! Brands, tra i principali gruppi attivi nel mondo della ristorazione veloce con un giro d’affari intorno ai 14 miliardi di dollari, proprietario anche dei marchi Pizza Hut e Taco Bell. Kfc è sbarcato nel nostro Paese alla fine del 2014 e attualmente ha aperto sette ristoranti, l’ultimo dei quali inaugurato alla fine dello scorso luglio a Milano Bicocca.
«Il mercato italiano sta accogliendo con entusiasmo la nostra proposta – afferma Corrado Cagnola, amministratore delegato di Kfc Italia – i clienti apprezzano molto il nostro pollo e i risultati sono in linea con quello che ci aspettavamo. Stiamo lavorando a un piano di espansione che prevede di arrivare a 100 aperture in cinque anni. Il 2016 è stato un anno intenso, con l’inaugurazione di sei ristoranti entro dicembre, per un totale di dieci sul territorio italiano. Per il 2017 prevediamo l’apertura di altri 14 ristoranti e, in prospettiva, vogliamo raggiungere l’intera penisola».
Il piano di sviluppo prevede – sempre in franchising direttamente dalla casa madre – sia l’inserimento di ristoranti in spazi già esistenti come centri commerciali e cittadini sia l’apertura di locali cosiddetti “drive thru”, strutture indipendenti con in più una corsia dedicata agli ordini e all’acquisto direttamente dalla propria automobile. Le caratteristiche standard dei locali Kfc hanno una dimensione di circa 450 metri quadrati, con almeno 150 posti a sedere.
«La nostra strategia – continua Corrado Cagnola – è focalizzata su quello che rende distintivo il nostro brand: l’irresistibile pollo preparato ogni giorno al momento nei ristoranti secondo la ricetta originale del colonnello Sanders, il Bucket (cestino) che è una nostra icona da sempre e il Free refill, la ricarica gratuita del bicchiere con le bibite non confezionate, un servizio presente in tutti i nostri punti vendita.
Il nostro focus presente e futuro è sul digital, sia come canale di comunicazione sia di esperienza e innovazione. La sfida maggiore riguarda la possibilità di comunicare i molti messaggi di valore del brand. Uno fra tutti è la grande forza che hanno i Bucket nell’offrire un’alternativa condivisa per tante persone, oltre al fatto che si prestano bene al take away, poiché il pollo rimane ben caldo per il consumo».
Se il pollo fritto del colonnello Sanders è un’assoluta novità nel panorama della ristorazione veloce in Italia, non si può dire altrettanto per un prodotto tradizionale come la pizza. Eppure, nonostante l’affollata concorrenza di pizzerie in ogni angolo del Paese, lo scorso ottobre è stato inaugurato a Milano il primo locale a marchio Domino’s Pizza.
Fondato nel 1960 in Michigan, il leader mondiale della pizza a domicilio – ma con anche un sostanzioso business nell’asporto – si colloca tra i primi marchi di catene di ristorazione con oltre 12.500 locali in più di 80 mercati. Le vendite a livello globale di Domino’s Pizza nel 2015 hanno raggiunto i 9,9 miliardi di dollari, di cui il 49% negli Stati Uniti d’America e il 51% nel resto del mondo. Dai dati aggiornati al secondo trimestre dello scorso anno emerge che quasi il 97% dei punti vendita viene gestito in franchising.
Domino’s Pizza Italia è guidata da Alessandro Lazzaroni, 36 anni, “master franchisee” del brand per il nostro Paese. Le prime cinque aperture a Milano fanno parte di un piano che prevede molti altri punti vendita nei prossimi anni in tutta Italia, sia di proprietà sia, in un secondo tempo, in franchising.
«Domino’s è un brand globale – spieg Alessandro Lazzaroni – con una significativa quota di vendite anche online. La nostra azienda si basa su due pilastri, egualmente importanti: qualità del prodotto ed eccellenza nel servizio. Il primo punto di forza è una pizza di grande qualità, realizzata con ingredienti Dop quali il prosciutto di Parma, il gorgonzola, il grana padano e la mozzarella di bufala campana, tutti prodotti che acquistiamo da fornitori italiani attentamente selezionati. Il nostro secondo caposaldo è la tecnologia digitale innovativa che permette ai clienti di ordinare anche online, così da assicurare una consegna in tempi rapidi come nessuno è in grado di fare in Italia. Assicuriamo, infatti, una consegna entro 30 minuti, ma da inizio anno la media del tempo di delivery si attesta sui 21 minuti».
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