Nonostante rappresentino soltanto una nicchia di mercato, i piccoli frutti crescono anno dopo anno, consolidando sempre più il proprio posizionamento con un potenziale interessante.
Piccoli nelle dimensioni, grandi nelle potenzialità. Stiamo parlando di lamponi, mirtilli, more, ribes, uva spina, una categoria di prodotti che, in controtendenza con gli altri segmenti del settore ortofrutticolo, è riuscita a mettere a segno numeri interessanti nonostante la crisi economica e la stagnazione dei consumi degli ultimi anni, e sembra avere tutte le carte in regola per crescere anche in futuro. Seppur rappresentino al momento una nicchia di mercato, i piccoli frutti stanno infatti conquistando uno spazio sempre più importante tra i consumatori italiani, sedotti dalle numerose valenze positive di queste bacche: il gusto, le proprietà nutrizionali, la naturalità, la qualità, non certamente il prezzo, che invece rimane piuttosto elevato.
In Italia, la produzione media annuale di piccoli frutti nel triennio 2010-2012 – secondo i dati di una recente ricerca realizzata da Sg Marketing – è stata di 5.655 tonnellate, con una crescita del 26,1% rispetto alla media del 2006-2008 e addirittura del 44,3% su quella del 2002-2004. Il 35,3% della produzione è costituito da lamponi, il 12,1% da ribes, lo 0,9% da uva spina e il 51,7% da altre bacche. I piccoli frutti vengono raccolti in un ristretto numero di zone a vocazione agricola, soprattutto in quelle caratterizzate da ambienti montani e pedemontani incontaminati che ne favoriscono lo sviluppo e l’elevata qualità, come in Trentino Alto Adige dal quale proviene il 54,7% della produzione, in Piemonte (27,8%) e in Lombardia (7,7%). Nel 2013 – secondo l’“Osservatorio sui consumi ortofrutticoli delle famiglie italiane” di Macfrut – sono state consumate circa 8.200 tonnellate di piccoli frutti, per un valore complessivo che ha superato i 90 milioni di euro. Le vendite di questi prodotti dal 2007 al 2013 sono cresciute di oltre il 200% in valore e del 156% in volumi, mentre il prezzo medio al chilogrammo è aumentato del 19,6%, passando da circa 9 euro a oltre 11. In termini di distribuzione geografica degli acquisti, il 70% dei consumi di piccoli frutti si concentra al Nord, il 10% al Centro e il 20% al Sud, mentre la grande distribuzione organizzata veicola circa il 60% delle vendite a volume, contro una media per la frutta fresca del 54% (dati Cso).
Quali possono essere le carte vincenti di questo piccolo settore capace di mettere a segno numeri così interessanti? «La ricetta di questo successo è apparentemente semplice – spiega Salvo Garipoli, senior consultant di Sg Marketing – a cominciare dalla ridotta frammentazione produttiva. In Italia, infatti, possiamo contare su un numero di attori concentrato in grado di soddisfare il fabbisogno del mercato domestico ed extradomestico: le prime nove aziende detengono il 55% del mercato e le prime tre addirittura il 45%. Poi, c’è il vissuto di un prodotto positivo: il consumo dei piccoli frutti è sostenuto da un lato da un mood salutistico che ne supporta le valenze funzionali, dall’altro dagli ingenti investimenti fatti dall’industria che nei fatti ne moltiplica la presenza nei di differenti luoghi di scelta, acquisto e consumo, affidando a questa categoria il compito di supportare, oltre alle succitate proprietà, anche gli aspetti correlati alla naturalità e alle valenze edonistiche. Pur tuttavia, è evidente che, fatti i dovuti distinguo, nei punti vendita della gdo la gestione dei piccoli frutti appare relegata a un ruolo di mero servizio, fatto che ne compromette la visibilità e la diffusione nella rete di vendita. Inoltre, la caratterizzazione attraverso attività di promo e comunicazione a supporto e stimolo della conoscenza e di prodotto delle rotazioni è nei fatti assente».
Non sembrano mancare, perciò, margini di crescita per questi prodotti, specialmente nel canale dei supermercati e dei discount. Per approfondire le diverse tematiche legate al mercato dei piccoli frutti, abbiamo chiesto il parere di alcuni importanti produttori del settore. «Sicuramente il principale punto di forza è la qualità del prodotto – afferma Marco Antonioli, titolare dell’omonima azienda agricola – essendo piante molto resistenti non necessitano di trattamenti ed essendo originarie di località per lo più montane vengono coltivate, come nel nostro caso, in ambienti naturali e incontaminati. La ricerca e la diffusione delle proprietà benefiche dei piccoli frutti, inoltre, hanno fatto sì che la richiesta si sia incrementata sempre più negli ultimi anni. Tra i punti critici, invece, vi è di sicuro la ricerca di nuovi mercati e la concorrenza estera e, non da ultimo, l’elevata manodopera necessaria per la raccolta, che incide per lo più sul prezzo finale di vendita».
Anche Bernard Rino, titolare dell’azienda agricola La Giasena, pone l’accento sulle caratteristiche naturali dei piccoli frutti: «Il vero punto di forza del nostro settore è legato alle eccezionali qualità nutrizionali dei nostri prodotti e, siccome i consumatori sono sempre più attenti a ciò che mangiano, i piccoli frutti stanno entrando nella dieta quotidiana delle persone con maggiore continuità. La criticità più rilevante di questi prodotti è rappresentata dal loro prezzo di vendita, molto elevato rispetto agli altri frutti, per questa ragione si rivolgono a un target di clientela abbastanza ristretto. Essendo frutti estremamente deperibili, inoltre, il canale commerciale diventa determinante per il successo della nostra produzione».
Il costo elevato dei piccoli frutti sicuramente condiziona le scelte dei consumatori i quali, specialmente nei mesi invernali, possono trovare sugli scaffali della gdo anche prodotti di origine extraeuropea a più buon mercato, anche se di minor qualità. «Nel nostro settore – dichiara Leonardo Rotolo, titolare dell’azienda agricola Rossolampone – le imprese sono principalmente rappresentate da piccole realtà a conduzione familiare, che producono un prodotto destinato a un mercato di livello medio-alto. I piccoli frutti, infatti, vengono venduti a un prezzo mediamente superiore di 4 o 5 volte la frutta più tradizionale di grossa pezzatura (mele, pere, pesche, albicocche ecc.). Sono caratteristiche che rappresentano anche i principali fattori di successo di questo comparto: l’azienda familiare di piccole dimensioni, infatti, garantisce flessibilità, dinamismo, orientamento al cliente, buone pratiche aziendali a tutela della qualità del prodotto e della salute del consumatore. Il mercato di sbocco è prevalentemente locale, forniamo quindi prodotti a chilometri zero, sempre più apprezzati. Il nostro target di riferimento, medio-alto, è quello che meno ha risentito della crisi in corso e che può dedicare risorse alla qualità del cibo e alla salute della persona».
L’elevata qualità dei piccoli frutti è garantita anche dalle notevoli capacità tecnologiche raggiunte da diversi attori del settore. «I punti di forza delle nostre aziende – spiega Alessandra Sacchetto, sales manager di Asprofrut – sono indubbiamente l’alto livello di professionalità tecnico-gestionale in campo e, di conseguenza, un elevato standard qualitativo in termini di varietà, calibro, nonché produzioni a residui zero a norma di disciplinari di produzione integrata, nel totale rispetto del consumatore. Gli impianti sono all’avanguardia con coperture anti grandine, moderni sistemi d’irrigazione e piante frutto della sinergia e collaborazione con vivaisti a livelli internazionali. I consumi nazionali, pur con buone prospettive di crescita, sono ancora insufficienti ad assorbire i quantitativi in continua crescita che le nostre aziende sono in grado di offrire. Ne consegue un contesto commerciale in cui è indispensabile continuare a mantenere attenzione, professionalità e standard qualitativi elevati, che i nostri clienti già ci riconoscono».
Non mancano aziende la cui spinta innovativa si sposta sulla ricerca di prodotti nuovi e più resistenti da lanciare sul mercato.
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