La frontiera celeste

di Fabio Massi

Fu eretta nel III secolo a.C. per difendere la Cina dai popoli del Nord. Ma fu sotto i Ming che la Grande Muraglia tornò a essere baluardo anti-Mongoli.

Un interminabile cantiere che ha attraversato tutta la storia della Cina, dalla sua nascita fino ai giorni nostri. Un’immensa barriera che per duemila anni ha cercato di proteggere il Celeste Impero e la sua cultura dalle invasioni delle popolazioni nomadi del Nord. È la Grande Muraglia (Changcheng), un capolavoro di architettura militare che percorre una vasta porzione del territorio cinese dalla provincia nordoccidentale di Gansu fino alle coste nordorientali sul Mare di Bohai, integrandosi alla perfezione con il paesaggio naturale, di cui è parte integrante.

Fin dalle sue origini, il popolo cinese – sedentario e agricoltore – ha dovuto contrastare le tribù nomadi dedite alla pastorizia, che i cinesi definivano “barbari” (yi), cioè coloro che non condividevano e non praticavano il loro stile di vita. «Le fertili pianure della valle del Fiume Giallo – scrive lo storico Piero Corradini nel volume Cina. Popoli e società in cinque millenni di storia – costituivano un ghiotto obiettivo per i nomadi allevatori del Nord, sempre alla ricerca di cereali con cui integrare la loro dieta, tanto che i cinesi, per impedire le razzie o, almeno, per recuperare il bottino dei nomadi sulla via del ritorno, costruirono un’opera che, a ragione, viene considerata una delle meraviglie del mondo, la Grande Muraglia. Per lungo tempo questo manufatto ha segnato il confine tra due civiltà».

A cominciare dal III secolo a.C., quando il primo imperatore della storia della Cina, Qin Shi Huangdi, ne ordinò la costruzione per difendersi dalla minaccia delle tribù del Nord (vedi box). Nei secoli successivi diverse dinastie regnanti apportarono interventi di una certa rilevanza alla lunghissima cinta, ma furono soprattutto i Ming (1368-1644) a fornire un contributo decisivo, conferendole l’aspetto attuale. La Cina usciva da un intero secolo passato sotto l’egemonia dei Mongoli – la dinastia Yuan (1268-1368) fu fondata da Qubilai, nipote di Gengis Khan – durante il quale la Grande Muraglia, essendo stata inglobata in un territorio molto più vasto rispetto al passato, aveva smesso di segnare il confine settentrionale cinese, perdendo importanza. Quando, però, la dinastia mongola fu travolta e spazzata via da una serie di violentissime insurrezioni popolari, i “barbari” che riuscirono a scampare ai massacri ripiegarono al di là dell’antica barriera e tornarono a rappresentare “soltanto” la tradizionale minaccia dei territori del Nord.

Proprio una di queste sommosse – la cosiddetta rivolta dei “turbanti rossi” – fece emergere un capo carismatico e brillante, Zhu Yuanzhang, il quale nel 1368 proclamò la nuova dinastia imperiale col nome augurale di Ming (“luce”), intitolando il periodo del suo regno col motto Hongwu (“magnificenza militare”). Dopo aver spostato la capitale a Nanchino (Nanjing, “capitale del Sud”), il primo imperatore Ming si preoccupò da un lato di rafforzare l’accentramento del proprio potere imperiale, dall’altro cercò di favorire la ripresa e lo sviluppo dell’agricoltura attraverso il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini. Le terre abbandonate, ad esempio, furono distribuite ai braccianti nullatenenti, che poterono contare anche su strumenti agricoli, sementi e bestiame per avviare la coltivazione dei campi, oltre a godere di esenzioni tributarie temporanee. I confini settentrionali, però, dopo qualche anno di calma ricominciarono a ribollire e nel 1388 Hongwu, nel tentativo di disinnescare la pressante minaccia mongola, inviò un esercito di 200.000 soldati al comando del generale Lan Yu che sconfisse Toghan-Temür (l’ultimo imperatore della dinastia Yuan) nei pressi del lago di Bujr nella Mongolia interna.

Alla morte di Hongwu (1398) salì al trono il figlio del suo primogenito, ma dopo appena quattro anni questi fu spodestato da un altro figlio del defunto monarca, il principe di Yan, che prese il nome di Yongle (“felicità eterna”). Il nuovo imperatore, dotato di notevoli abilità organizzative e di grande acume strategico-militare, realizzò importanti cambiamenti sia negli affari interni sia in politica estera, per questo è considerato dagli storici cinesi come il secondo fondatore della dinastia Ming. Yongle tornò a dare molta importanza ai problemi delle frontiere e anche per questo spostò la capitale al Settentrione, a Pechino (Beijing, “capitale del Nord”): ci vollero quasi 14 anni, 25.000 artigiani e un milione di contadini per realizzare la nuova città imperiale, una metropoli moderna il cui cuore custodiva i palazzi della splendida “città proibita”. In politica estera, dopo aver consolidato i rapporti di tipo tributario con alcuni regni confinanti, Yongle nel 1406 riuscì a sottomettere l’attuale area del Vietnam centro-settentrionale, ma negli anni successivi dovette concentrare tutte le sue forze per affrontare i “soliti” nemici del Nord.

Al di là della Grande Muraglia, infatti, le diverse tribù mongole si stavano contendendo la leadership dopo le disfatte subite nei decenni precedenti, e tra questi clan ne stavano emergendo alcuni – tra cui gli Oirati – che, a breve, avrebbero dato del filo da torcere al Celeste Impero. Tra il 1410 e il 1424, Yongle condusse di persona ben cinque spedizioni militari contro i Mongoli, rei di aver rifiutato di pagare i tributi richiesti dalla corte di Pechino. Il piano del “Figlio del Cielo”, infatti, era quello di sottomettere le tribù mongole attraverso sia l’imposizione di tasse sia l’uso delle armi per fiaccare il loro potenziale offensivo, ma l’imperatore non riuscì fino in fondo nel suo intento poiché nel 1424, al ritorno dalla quinta spedizione militare, trovò la morte. In questi stessi anni, per arginare la pressione mongola, era stato realizzato un nuovo muro della Grande Muraglia lungo il confine meridionale a ridosso del deserto Ordos, nella Mongolia interna. Diversamente dal passato, la nuova struttura – che sfiorava i 6mila km – era molto più solida e più organizzata in termini strategici: al posto della terra battuta, infatti, gli ingegneri Ming utilizzarono sassi, lastre di pietra e mattoni, e realizzarono circa 25.000 torri di guardia che intervallavano la barriera, oltre a diverse fortezze a difesa dei maggiori centri abitati.

La nuova struttura, però, non impedì a Esen il capo degli Oirati di attaccare il Celeste Impero su più fronti nel 1449. A causa della giovane età del sovrano cinese Zhengtong, l’eunuco Wang Zhen prese il comando dell’esercito, ma la sua incompetenza costò molto cara alla dinastia Ming. Nonostante una schiacciante superiorità numerica (si parla di 500.000 soldati contro 20.000), infatti, le milizie imperiali andarono incontro a una disfatta clamorosa a Tumubao, nell’odierna provincia di Hebei, che si concluse addirittura con l’umiliante cattura del “Figlio del Cielo”. Dopo questa sconfitta, che segnò l’inizio della decadenza della dinastia Ming, gli scontri con le tribù mongole ripresero a metà del XVI secolo, soprattutto con i Tümed guidati dal principe Altan Khan. Il condottiero mongolo, in seguito al rifiuto delle autorità cinesi di aprire il commercio, dal 1529 al 1542 oltrepassò la Grande Muraglia e guidò diverse scorribande nei territori imperiali, riuscendo nel 1550 persino ad assediare Pechino. Le ostilità si risolsero soltanto nel 1571 con un trattato di pace che, tra le altre cose, permise ai mongoli di effettuare il libero commercio nelle zone di confine.

La dinastia Ming era ormai in declino e da lì a qualche decennio avrebbe lasciato di nuovo il passo a una popolazione straniera – anche se da secoli aveva subito una profonda sinizzazione – che proveniva dai territori al di là dell’ultimo lembo nordorientale della Grande Muraglia: i Manciù (o Mancesi), fondatori dell’ultima dinastia imperiale, i Qing (1644-1911). Col passare del tempo, i nuovi dominatori avrebbero allargato i confini del Celeste Impero superando il limite delineato dalla Grande Muraglia, che presto avrebbe cessato di rappresentare l’ultimo baluardo della civiltà cinese.

 

BARRIERA ANTI-UNNI
La Grande Muraglia, dichiarata nel 1987 dall’Unesco patrimonio dell’umanità, nasce dalla volontà del “primo augusto imperatore” della storia della Cina, Qin Shi Huangdi. Dopo aver portato a termine nel 221 a.C. l’unificazione di immensi territori, sottomettendo con ferocia e spietatezza uno a uno tutti i regni che si contendevano il predominio, il “Figlio del Cielo” si preoccupò di difendere i confini del suo impero dalla minaccia degli agguerritissimi Xiongnu, una tribù nomade della Mongolia interna il cui nome è associato da alcuni storici a quello degli Unni che qualche secolo dopo avrebbero invaso l’Europa. L’imperatore aveva in mente un’opera titanica, che rivelava la grandiosità della sua visione politica: un muro di terra battuta e pietre che doveva attraversare l’intero confine settentrionale del suo impero, per oltre 6mila km, sfruttando i tratti di muraglie già edificate in precedenza dai regni conquistati, ma anche gli elementi naturali come montagne, dirupi, vallate, foreste. Questo primo nucleo della Grande Muraglia fu realizzato in pochi anni e con costi elevatissimi in termini di vite umane: si stima che persero la vita quasi un milione di operai costretti ai lavori forzati in condizioni disumane.