Nonostante il perdurare della crisi economico-finanziaria, le aziende sembrano continuare a investire per ottenere le certificazioni di qualità sia per i propri prodotti sia per i processi produttivi, una scelta incoraggiata dalle crescenti esigenze dei consumatori e dalla necessità di una migliore gestione dei rischi. Oggi gli organismi di certificazione accreditati da Accredia sono 168, con oltre 1.000 laboratori di prova, per un giro d’affari che supera i 260 milioni di euro all’anno.
Il sistema italiano di impresa sembra riporre grande fiducia nella certificazione come strumento di competitività e affermazione sul mercato. Nonostante il perdurare della crisi economico-finanziaria, infatti, le nostre aziende continuano a investire per dotarsi di certificazioni di qualità sia per i propri prodotti sia per i processi produttivi, una scelta incoraggiata dalle crescenti esigenze di sicurezza da parte dei consumatori e dalla necessità di rafforzare la credibilità della propria offerta e delle proprie competenze, soprattutto sui mercati internazionali. Si tratta di una tendenza che negli ultimi anni ha fatto registrare una importante evoluzione in tutta Europa grazie al regolamento 765/2008/Ce che stabilisce norme comuni in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti, fissando un quadro complessivo di regole e principi in materia di accreditamento e vigilanza del mercato.
L’Italia, seppur con ritardo rispetto agli altri Stati membri, si è adeguata alla strategia europea affidando dal 1° gennaio 2010 a un’unica supervisione le attività di accreditamento degli organismi di certificazione e ispezione, dei laboratori di prova e dei centri di taratura. Dall’unione delle competenze di Sinal, Sincert, Sit e Istituto superiore di sanità, perciò, nasce Accredia come ente unico nazionale designato dallo Stato per attestare che gli istituti certificatori abbiano le competenze per valutare la conformità dei prodotti, dei processi e dei sistemi agli standard di riferimento. Accredia fa parte di un vasto sistema internazionale che riunisce gli enti di accreditamento in Europa e nel mondo, perciò tutte le certificazioni, le ispezioni, le prove e le tarature accreditate sotto il suo marchio sono riconosciute come equivalenti e accettate in tutti i Paesi.
In termini globali, secondo i dati della tradizionale indagine sulla diffusione delle principali certificazioni di qualità elaborati dalla International organization for standardization (Iso), nel 2010 l’Europa con quasi 531.000 certificazioni di sistemi di gestione per la qualità (Iso 9001) rimane leader mondiale con il 47,8% del numero complessivo, registrando rispetto all’anno precedente un +6% (media mondiale +4%). Per quanto riguarda il numero delle certificazioni nei sistemi di gestione ambientale, invece, il nostro continente è al secondo posto (con oltre 103.000, +16%) dietro all’estremo Oriente, dove si concentra la metà delle Iso 14001 rilasciate nel mondo. In crescita anche la diffusione delle certificazioni per i sistemi di gestione per la sicurezza delle informazioni (Iso/Iec 27001) e di quelle per la sicurezza alimentare (Iso 22000), il cui incremento annuo in Europa è stato rispettivamente del 35% e del 17% (media mondiale +21% e +34%).
A livello di diffusione di certificazioni per Paese, l’Italia è tra le realtà più virtuose e figura nelle prime posizioni in quasi tutti i principali standard Iso: è al secondo posto per la Iso 9001 dietro alla Cina, al quarto per la Iso 14001 dopo Cina, Giappone e Spagna, all’ottavo per la Iso/Iec 27001 ed è soltanto quindicesima per la Iso 22000, ma detiene il settimo migliore trend di crescita (+84%).
Oggi nel nostro Paese operano sotto accreditamento Accredia 168 organismi di certificazione e ispezione, oltre 1.000 laboratori di prova e 170 laboratori di taratura, per un giro d’affari che supera i 260 milioni di euro all’anno.
Complessivamente nel 2011 sono state oltre 90.000 le aziende e quasi 158.000 i siti produttivi dotati di certificazioni a marchio Accredia (150.000 in Italia e 8.000 all’estero), di cui 133.300 per la qualità (Iso 9001 e affini), 16.000 per la gestione ambientale (Iso 14001), 6.000 per la salute e sicurezza sul lavoro (Ohsas 18001), 270 per la sicurezza delle informazioni (Iso 27001) e 20 per i servizi informatici (Iso/Iec 20000-1), oltre a più di 100.000 certificazioni di prodotto e 80.000 di personale. Rispetto al 2010 si è registrata una crescita del numero complessivo delle certificazioni del 9,1%, con differenti trend, però, per ciascuna tipologia di standard: +8% per la Iso 9001, +5,4% per la Iso 14001, +63,7% per la Ohsas 18001, +24,7% per la Iso 27001 e +400% per la Iso/Iec 20000-1, senza dimenticare che specialmente per gli ultimi due standard abbiamo a che fare con numeri ancora piuttosto trascurabili nel totale del settore delle certificazioni.
In termini di ripartizione geografica delle imprese certificate, il 54,8% si concentra al Nord, seguito dal Sud e Isole (23,1%) e dal Centro (22,1%). Il primato di regione più “certificata” va alla Lombardia con quasi 30.000 siti produttivi, seguita dal Veneto (16.000) e dall’Emilia Romagna (13.500). Tra le regioni centrali spicca il Lazio con quasi 12.800 certificazioni, mentre al Meridione è la Campania la realtà più dinamica (11.500).
«Il mercato italiano delle certificazioni si presenta in leggera crescita – spiegano Stefano Bolletta e Attilio Durantini, rispettivamente sales manager Divisione Management service e direttore Divisione Product service food health and beauty di Tüv Italia – anche se la certificazione dei sistemi di gestione per la qualità Iso 9001 è un prodotto ormai maturo. Rispetto al recente passato, stiamo infatti assistendo a un progressivo passaggio da certificazioni per così dire “generaliste” come la Iso 9001, applicabile a tutti i settori merceologici, a certificazioni “specialistiche”, applicabili cioè solo a determinati comparti, come ad esempio le certificazioni Fsc o Pefc, proprie dei settori della carta e del legno. Le aziende dei comparti portanti del nostro sistema produttivo spesso sommano alle certificazioni di sistema quelle di prodotto. Questa tendenza è dovuta alla necessità di combinare il controllo del processo, attraverso le certificazioni di sistema, al controllo della qualità del prodotto, attraverso appunto la certificazione di prodotto. In particolare nell’agroalimentare, e in misura inferiore anche in altri settori, le certificazioni sono state utilizzate anche come strumento di controllo del rispetto dei requisiti normativi e di garanzia del prodotto ma la pressione, già presente per gli svariati requisiti di legge, può far percepire la certificazione come un ulteriore appesantimento. Per evitare questo occorre che il rapporto aziende/organismo di certificazione si basi sullo stimolo e sulla motivazione, che diventano essenziali per trasformare il problema in opportunità di crescita, miglioramento e, perché no, innovazione».
Tra i settori industriali con il maggior numero di certificazioni c’è il comparto delle imprese di costruzione, installatori di impianti e servizi con quasi 30.000 (+9,1% rispetto al 2010), seguito dai servizi professionali d’impresa con circa 17.000 (+12,6%) e dal settore della fabbricazione dei prodotti in metallo con poco meno di 14.000 (+14%). Per quanto riguarda altri comparti di rilievo per il largo consumo, da segnalare le aziende dei prodotti in gomma e materie plastiche con quasi 4.300 siti certificati (+4,3%), il tessile e abbigliamento con oltre 900 (+4,5%), mobili e arredamento con 970 (+160,8%), mentre il commercio all’ingrosso e al dettaglio con più di 10.200 certificazioni è uno dei pochi settori che ha fatto registrare una contrazione (-9,7%). Nel comparto agroalimentare, infine, le aziende agricole certificate sono circa 600 (+62,6%), mentre le industrie alimentari sono quasi 4.900 (+15,6%).
«Questi numeri, unici in Europa, – afferma Armando Romaniello, direttore Marketing e Industry Management di Certiquality – sono da mettere in relazione con la forte frammentazione del tessuto industriale del Paese. L’Italia, lo sappiamo, si caratterizza per un’elevata presenza di micro e piccole imprese che proprio grazie alla qualità – sia di prodotto sia di processo – mettono sotto controllo l’organizzazione, la logistica, i costi e competono nei mercati internazionali. Vantiamo eccellenze che ci sono riconosciute in tutto il mondo e spesso sono il risultato di intere filiere produttive che hanno saputo integrare le imprese che le compongono. Nel breve, vedo ancora una crescita delle certificazioni di sistema con particolare riferimento a quelle ambientali e di sicurezza. I primi decreti che danno attuazione al piano nazionale per gli acquisti verdi (Green public procurement, Gpp) incentivano inoltre l’acquisto da parte della pubblica amministrazione di prodotti con caratteristiche ambientali certificate e realizzati in aziende con sistema di gestione ambientale certificato (ad esempio a fronte della norma Iso 14001). Sono dell’avviso che un passo indietro sui temi della qualità e della certificazione, in un momento come quello attuale, sarebbe un grosso errore, non solo da parte delle imprese ma anche della politica che su questi aspetti dovrà sostenere sempre di più il sistema produttivo, particolarmente in termini di semplificazioni per le imprese certificate, quelle cioè capaci di dare maggiori garanzie».
Le aziende che investono di più nelle certificazioni ambientali (Iso 14001) sono quelle operanti nei servizi pubblici (1.667 siti produttivi certificati), seguite dal comparto dei servizi professionali d’impresa (1.385), dalle aziende attive nella produzione e distribuzione di energia elettrica (1.246), dal settore della fabbricazione dei prodotti in metallo (1.203), dalle imprese di costruzione, installatori di impianti e servizi (1.160) e dal comparto dei trasporti, magazzinaggi e comunicazioni (1.125), a dimostrazione del fatto che sono sempre di più le imprese consapevoli nel valutare l’efficacia degli strumenti di gestione ambientale adottati attraverso la certificazione Iso 14001.
Dai risultati dell’indagine condotta nel 2010 da Accredia in collaborazione col Centro studi qualità ambiente dell’Università degli studi di Padova (Cesqa), infatti, emerge un aumento delle aziende in grado di quantificare costi e benefici della certificazione ambientale (47% contro il 35% del 2008). Tra i costi ritenuti più rilevanti figurano quelli legati alle modifiche impiantistiche (38,3%) e alle attività di formazione e consulenza in materia “green” (34,1%), mentre i principali benefici risultano quelli di tipo organizzativo (45,5%) e di miglioramento delle performance ambientali (41,3%), meno incisivi sono percepiti i vantaggi di tipo economico (13,2%).
«La certificazione di terza parte è ormai un importante strumento di marketing – dichiara Fabrizio Moscariello, responsabile della Pianificazione strategica di Icim – che rafforza il posizionamento qualitativo di aziende, settori, filiere e distretti. A fare da motore propulsore alle certificazioni, oltre alle direttive europee degli ultimi anni, vi è anche la crescente attenzione alla sostenibilità, intesa non solo come salvaguardia dell’ambiente durante il processo produttivo, ma come ecocompatibilità e confronto costruttivo con gli stakeholder, che non guardi solo al ritorno economico ma includa aspetti come il rispetto delle condizioni ambientali e di lavoro lungo tutta la catena del valore – incluso il trasporto delle merci e lo smaltimento finale – e che sia valutata e certificata da un soggetto imparziale. In questo senso l’ente di certificazione, attraverso l’analisi iniziale, diventa anche un prezioso supporto per l’azienda, incrementando il valore aggiunto percepito della propria attività. Non va infine dimenticato che la sostenibilità, oltre ad avere una valenza commerciale, si traduce in lotta agli sprechi, efficienza e quindi risparmio: è per tali motivi che anche in settori “maturi” come il tessile e le ceramiche stanno nascendo marchi che puntano sulla qualità del prodotto e sul rispetto ambientale, uscendo da una logica concorrenziale basata solo sul prezzo. Si può dunque dire che la certificazione – di sistema di gestione o di prodotto – sia una scelta strategica per reagire di fronte alla crisi».
Secondo i risultati di una ricerca effettuata recentemente dal Censis per l’Osservatorio Accredia con l’obiettivo di monitorare le dinamiche e i cambiamenti del settore della certificazione, emerge che il 42,2% di un campione di un centinaio di organismi di certificazione definisce buono o addirittura eccellente il proprio attuale posizionamento sul mercato, mentre il 35,3% soffre per una situazione che, quando non viene definita espressamente difficile, resta comunque stagnante, piatta, priva delle necessarie prospettive di crescita. In realtà, è il rimanente 22,5% del campione a descrivere meglio quanto sta avvenendo nel settore della certificazione: dopo il boom degli anni precedenti, si sta attualmente attraversando una fase di assestamento…
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