L’industria dell’auto curva verso Est

di Matteo Ferrazzi e Andrea Goldstein

Nel 2009 la Cina è divenuto il primo produttore di auto al mondo, sorpassando il Giappone, e solo un anno dopo, nel 2010, ha addirittura prodotto un numero doppio di auto rispetto al suo vicino. Sorpasso e doppiaggio in poco più di un biennio insomma. I cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) producono ora un’auto ogni tre prodotte nel mondo, un decennio fa ne realizzavano solo una su dieci. Appare ben chiaro dall’analisi di questi pochi dati che la crisi ha accelerato vorticosamente alcuni trend già in atto.

A dispetto della crisi, mai nella storia dell’automobile sono stati prodotti così tanti veicoli come nel corso del 2010 (77.6 milioni di veicoli, +26% rispetto al 2009 secondo i dati dell’OICA, l’Associazione mondiale dei produttori). La produzione del settore aveva già raggiunto livelli storicamente elevati nel periodo 2006-2008, veleggiando intorno ai 70 milioni di veicoli, per poi crollare a 60 milioni nel corso della crisi del 2009. Dov’è la crisi? Non certo nei numeri citati qui sopra. Ma non era il settore auto tra i più colpiti dalla crisi finanziaria del 2008-’09 tanto che numerosi paesi sono stati costretti ad intervenire per “salvare” alcuni produttori e per incentivare l’acquisto di automobili?

I numeri aggregati della produzione mondiale di auto e veicoli nascondono un’evidente divaricazione della performance tra le aree ed i paesi. Nell’ultimo quinquennio si è infatti assistito ad un rapido mutamento delle gerarchie produttive a livello mondiale. I due paesi che rappresentavano alla fine degli anni novanta il 40% della produzione mondiale – Giappone e Stati Uniti – hanno visto dimezzare la propria quota sulla produzione mondiale. Al contempo, nel 2009 sono state prodotte, per la prima volta nella storia, più auto nelle economie emergenti che nei paesi di più antica industrializzazione. L’accresciuto ruolo dei paesi emergenti è comune a tutte le aree mondiali. In Asia i paesi emergenti rappresentano ora l’80% della produzione regionale (il 40% un decennio addietro). America Latina ed Est Europeo hanno anch’esse raddoppiato la propria quota di produzione continentale. L’Est Europa in particolare ha continuato ad attrarre nuovi investimenti in capacità produttiva addizionale anche durante la crisi ed è diventato un hub produttivo alquanto rilevante: Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca sono i tre paesi al mondo con la maggiore produzione di auto per abitante. La produzione di auto nell’Est Europeo è cresciuta ad un tasso medio del 19% nel periodo 2002-2008 (-1.9% in Europa Occidentale nello stesso periodo).

Considerando i singoli players i cambiamenti sono rilevanti ma meno evidenti. Nel passato l’ascesa dei mercati emergenti era legata alla produzione delle principali case occidentali nei paesi emergenti stessi; ed anche negli ultimi anni sono gli investimenti esteri a trainare l’aumento della capacità produttiva. Emergono però anche marchi locali (cinesi e indiani in particolare) che producono principalmente, ma non solo, per il mercato domestico. Se infatti i principali produttori mondiali producono ormai in ogni angolo del mondo, i produttori di Cin, India e Russia producono quasi esclusivamente per il mercato locale.

L’ascesa dei produttori cinesi è sicuramente tra gli elementi più significativi: possono godere di economie di scala senza precedenti che gioveranno anche alla loro espansione estera. Ben 6 produttori cinesi sono entrati nei top20 produttori al mondo. Basti pensare che nel 2006 vi erano solo 4 produttori cinesi capaci di produrre più di 150 mila auto l’anno, ora ve ne sono quasi 20, sebbene i marchi locali siano ancora relativamente poco conosciuti in Occidente. La struttura dell’industria cinese appare ancora in una fase se non embrionale per lo meno di trasformazione; lo Stato cinese sta giocando un ruolo attivo nell’aggregare i diversi produttori locali, incoraggiandoli anche ad effettuare acquisizioni all’estero per accedere a tecnologie e mercati. Non v’è dubbio che il mercato cinese, raddoppiato in termini dimensionali tra il 2003 ed oggi, sarà il principale “campo di battaglia” per i produttori di auto, sia quelli locali che quelli dei paesi di più antica industrializzazione.

In questo contesto, dominato dall’ascesa dei paesi emergenti e dal declino americano (due dei “Big three” di Detroit sono state salvati dal governo USA) qual’è la competitività dell’industria Europea? La quota di veicoli prodotti in Europa rispetto al totale prodotto nel mondo continua a ridursi, dal 35% del 2000 al 25% del 2010. I paesi ed i produttori europei rimangono tuttavia tra i leader a livello mondiale: un quarto dei veicoli prodotti nel mondo sono ancora prodotti sul suolo Europeo; un terzo di quelli prodotti del mondo escono da fabbriche di case europee (localizzate sia in Europa che in altri paesi del mondo). E le case Europee detengono la leadership in molti comparti (la Volkswagen è il terzo produttore al mondo, mentre Citroen-Peugeot, Fiat, Ranault e BMW sono tra i primi 15 produttori al mondo). E ben 12 milioni di lavoratori europei dipendono dal settore (ogni posto di lavoro nel settore auto ne genera 5 in altri settori, secondo l’ACEA, l’Associazione Europea dell’auto).

In ambito europeo, Germania e Italia, tradizionalmente grandi porduttori di autovetture, rappresentano due casi interessanti, nonchè divergenti. L’industria automobilistica tedesca – che rappresenta ormai quasi un terzo della produzione europea – fabbrica dall’anno scorso più auto in terra straniera che in Germania (mentre nel 1995 solo un terzo dei veicoli era prodotto all’estero). Le case tedesche producono 1.7 milioni di auto in Cina; più di mezzo milione in Brasile, Spagna e anche in Repubblica Ceca. Eppure la produzione in Germania si mantiene sopra i 5 milioni di veicoli l’anno, ben superiore a quella di un decennio addietro (il 70% è esportato). L’industria automobilistica tedesca sembra quindi essere tra i principali protagonisti del processo di globalizzazione della produzione, ed al contempo uno dei maggiori beneficiari.

La produzione in Italia, indissolubilmente legata ai marchi del Gruppo Fiat, è più che dimezzata nell’arco di un decennio. E l’Italia appare anche come uno dei paesi che hanno maggiormente patito la crisi: la produzione di veicoli è tuttora del 35% inferiore ai livelli pre-crisi (nel 2010 sono state prodotte sul suolo italiano oltre 400 mila auto in meno che nel 2007). Meno di un terzo della produzione del Gruppo Fiat avviene ora sul suolo italiano, rispetto al 43% prima della crisi, cioè nel 2007. E l’ingente investimento del Gruppo Fiat nella fabbrica serba di Kragujevac (oltre che l’apertura di un secondo stabilimento brasiliano a Recife) potrebbe rendere la produzione a marchio italiano ancor più internazionale. Questo senza considerare ovviamente le conseguenze dell’integrazione con Chrysler. Basti considerare che la capacità utilizzata di alcune fabbriche italiane, ad esempio, si aggira solamente tra il 10 ed il 60%. La produzione sul suolo italiano è ora inferiore alla produzione della Repubblica Ceca e della Polonia, mentre curiosamente quest’ultimo paese beneficia proprio della produzione di uno dei simboli del Made in Italy, la Fiat 500. Francia e Gran Bretagna appaiono altresì mete produttive in difficoltà. La Francia ha perso lo status di secondo produttore europeo, a favore della Spagna; la Gran Bretagna ha venduto brand importanti (Jaguar e Land Rover sono in mani cinesi) e ha ridotto notevolmente la produzione (producono nel paese anche Ford, BMW, con i marchi Mini e Rolls Royce, e Opel/GM).

L’accresciuto ruolo dei paesi emergenti non è visibile solo dal lato dell’offerta, ma anche da quello della domanda. Da un lato la densità del parco veicoli in circolazione nei paesi emergenti è estremamente bassa: in India e Cina vi sono meno di 5 auto ogni 100 abitanti, rispetto alle 50 auto dei paesi sviluppati (60 per l’Italia, che ha una densità di auto per abitante tra le più elevate al mondo). Dall’altro in molti paesi emergenti si sta rapidamente sviluppando la classe media (redditi sopra i 30 mila dollari in termini di parità dei poteri d’acquisto): si tratta di oltre 120 milioni di persone che raggiungeranno questo status entro il 2015 a livello mondiale, tre quarti dei quali nei paesi emergenti e questo darà spinta al consumo di vari beni, quelli di auto inclusi.

In termini di vendite, la Cina è divenuto il principale mercato mondiale, sorpassando quello USA. Sono numerosi i players occidentali che producono e vendono nel paese (PSA, Volkswagen, Ford, Honda, Mazda, Mitsubishi, Toyota, hanno prodotto 3.4 milioni di veicoli nel 2009), ma anche per quelli che vi esportano il tasso di crescita è impressionante: nel 2010, cioè dopo soli sei anni di presenza commerciale, la Ferrari ha venduto quasi 300 vetture in Cina, un incremento di quasi il 50% rispetto al 2009. La cosiddetta Greater China, che comprende anche Hong Kong e Taiwan, rappresenta ormai uno dei primi cinque mercati al mondo per la Ferrari. Anche se in Cina la quota di mercato dei brand locali è inferiore che negli altri BRIC (tranne il Brasile), essa sta crescendo. I brand esteri controllano ancora il 70% delle vendite di auto in Cina, ma tale quota è destinata a calare piuttosto velocemente.

La bassa saturazione del mercato, associata all’emergere di una classe medio-alta relativamente benestante, lascia prevedere una rilevante crescita del mercato locale in molti paesi emergenti, asiatici in primis. Nel prossimo ventennio la domanda mondiale di auto sarà caratterizzata da due volti. Nei paesi emergenti la rapida crescita delle vendite di auto nuove (inizialmente nel segmento medio-basso) contribuirà ad aumentare la saturazione del parco auto locale. La strategia della Tata di produrre la Nano, l’auto più economica al mondo, verrà seguita da altri produttori. Una maggiore sofisticazione nei mercati più maturi: i mercati occidentali continueranno ad essere rilevanti in termini quantitativi ed anche in quanto frontiera dell’innovazione. La crescita sarà guidata principalmente dalla sostituzione del parco veicoli esistente e da alcune possibili innovazioni tecnologiche. I guidatori occidentali, benestanti e mediamente più anziani che nel passato, presteranno particolare attenzione alla sicurezza, all’ambiente, ed all’efficienza nei consumi. Gli incentivi pubblici all’auto rimarranno una caratteristica di alcuni mercati e alcuni periodi, principalmente quelli di crisi.

La crescita della domanda di auto e veicoli, anche se sostenuta a livello mondiale, difficilmente riuscirà ad eliminare i problemi di sovracapacità produttiva che caratterizzano ormai da decenni il settore. L’eccesso di capacità è stimato tra il 20 ed il 35% a seconda delle aree, maggiore negli Stati Uniti rispetto all’Europa. Basti pensare che anche se la crescita della domanda nei prossimi dieci anni fosse pari a quella del decennio passato, sotto l’ipotesi (tra l’altro irrealistica) che non si effettuino ulteriori investimenti in nuova capacità produttiva, tale crescita non riuscirebbe a colmare l’attuale eccesso di sovracapacità produttiva.

Le nuove gerarchie produttive e commerciali di cui si è accennato generano una ricomposizione del commercio mondiale di auto e componenti che è destinata a continuare nei prossimi anni. Nel 2009, secondo i dati WTO, il commercio mondiale di prodotti automotive è stato di 847 miliardi di dollari, in calo del 32% rispetto all’anno precedente. Si è trattato della terza maggiore contrazione a livello settoriale – inferiore che per combustibili e prodotti siderurgici, ma ben più ampia che per la chimica, le telecomunicazioni ed elettronica, oppure il tessile/abbigliamento. Pur essendo cresciuto al 4% annuo nel 2000-09, i flussi commerciali del settore non sono tra i più dinamici: ad esempio, per la chimica il commercio mondiale è cresciuto in media dell’11%, in agricoltura del 9%. L’automotive rappresenta ora il 7% del commercio mondiale di beni, mentre rappresentava il 9,2% nel 2000.

In sintesi, non sembra che la crisi abbia arrestato le principali tendenze in atto, sia sul fronte produttivo che su quello del commercio; in molti casi, al contrario, come rilevato la crisi ha accelerato i trend precedentemente in atto, in particolare la tendenza all’internazionalizzazione produttiva. La sfida dei paesi emergenti – questo è ormai chiaro da tempo – non è relegata ai settori produttivi a basso valore aggiunto. Ed il settore auto, sebbene alcune rilevanti barriere all’entrata dovute all’importanza delle tecnologie e dei marchi, ne è pienamente coinvolto, sebbene la percezione di tale situazione sia piuttosto bassa nei paesi occidentali: non è infatti sempre facile accettare la “fuga” di una parte del settore manifatturiero verso altre mete.