Quanto vale il tuo negozio?

di Fabio Massi

Il “listino prezzi delle aziende” è uno strumento indispensabile per capire quanto vale un negozio, che differenze ci sono tra diverse città e tra varie zone della stessa città.

Vendere un bar a Milano, una tabaccheria con giochi a Catania, un panificio a Bari o un negozio di abbigliamento a Catanzaro. Sono questi oggi i veri affari nell’ambito della compravendita degli esercizi pubblici, commerciali e artigianali nel nostro Paese. Almeno stando ai dati del “Listino prezzi delle aziende 2010” realizzato dalla Federazione italiana mediatori e agenti d’affari (Fimaa) aderente a Confcommercio, che conta 14.000 iscritti tra imprese del settore immobiliare e mediatori merceologici e creditizi.

La commercializzazione delle aziende è un’attività molto complessa ed è svolta in genere da professionisti in grado di districarsi tra leggi, aspetti fiscali e le repentine variazioni del mercato, ma capita spesso che soprattutto le piccole aziende utilizzino criteri di valutazione basati su consuetudini locali piuttosto che su variabili attendibili e condivise. Proprio per uniformare i parametri di stima delle imprese associate, Fimaa ha predisposto questa mappa dei prezzi che rappresenta un utile strumento di lavoro per gli operatori del settore della mediazione immobiliare, i quali devono determinare – insieme ai clienti – l’esatto valore di un’azienda commerciale nelle diverse aree del nostro Paese.

Lo sviluppo del settore della distribuzione al dettaglio e delle attività artigianali mette in evidenza lo stato dell’economia e le mutazioni che avvengono nelle città italiane, dove oggi sono presenti oltre 775.000 esercizi commerciali, tra cui circa 200.000 bar e 100.000 ristoranti, che costituiscono un grande interesse commerciale visto che ogni anno in alcuni grandi centri il 15-20% di questa tipologia di attività è interessata da operazioni di compravendita.

I dati pubblicati sul listino Fimaa, che sono il risultato delle rilevazioni realizzate da una rete di agenti sulla base di contrattazioni perfezionate dagli stessi operatori e da altri collaboratori a loro collegati, riguardano 25 province sparse in 16 regioni italiane. Nella mappatura vengono prese in esame le aziende di maggior richiamo commerciale rappresentative dei quattro settori di primario interesse per i consumatori: gli esercizi pubblici, le imprese artigiane, le attività commerciali alimentari e quelle non alimentari, per un totale di 34 diverse tipologie merceologiche, dai ristoranti alle ricevitorie, dalle gelaterie alle lavanderie, dai parrucchieri ai minimarket, dalle librerie ai casalinghi, fino alle agenzie viaggi, ai ferramenta e alle gioiellerie. A ognuna di queste aziende sono stati attribuiti i valori di mercato a seconda non soltanto della città, ma anche in base alla posizione urbanistica e sono state espresse indicazioni sulla domanda e sull’offerta.

Venendo ai risultati scaturiti dalla mappa dei prezzi stilata da Fimaa emerge che a Milano, ad esempio, comprare un bar in un quartiere centrale vuol dire sborsare una cifra pari al 140-160% del fatturato annuo, cioè tra i 280.000 e i 320.000 euro se si considera un giro d’affari di 200.000 euro, mentre un caffè in una zona periferica che ricava la metà può valere dai 100.000 ai 120.000 euro, in pratica il 100-120% del fatturato. A Roma la differenza di prezzo è molto più marcata: il bar centrale con un incasso annuo di 200.000 euro vale tra 180.000 e 200.000 euro (90-100% del giro d’affari), mentre per rilevarne uno in periferia ci vuole quasi un quarto di quella cifra, dai 50.000 ai 65.000 euro. Tornando a Milano, se si volesse comprare un negozio di casalinghi in centro – sempre considerando un giro d’affari annuo intorno ai 200.000 euro – occorrerebbero circa 80.000 euro, poiché la richiesta è scarsa e gli spazi per una simile attività richiedono costi di locazione molto alti rispetto al potenziale incasso.

A Catania, invece, il valore di una tabaccheria-ricevitoria con giochi può raggiungere anche il 500% del suo fatturato annuo, e una pizzeria può essere venduta a un valore di mercato mediamente più alto di Milano, Roma, Napoli, mentre a Bari un panificio può dimostrarsi più redditizio rispetto ad altri centri. Nel listino, inoltre, sono stati riportati i valori della buonuscita e dell’affitto dei negozi, riguardanti le principali vie di grande rilevanza commerciale dei centri cittadini. La buonuscita definisce il valore della posizione commerciale di alcune tipologie di esercizi ed è una sorta di risarcimento per la cessazione della propria attività, mentre gli affitti, risentendo in maniera diretta dell’andamento del mercato immobiliare, costituiscono una delle principali voci di spesa nella gestione delle aziende. Il canone di locazione e la buonuscita hanno valori inversamente proporzionali tra loro: se l’affitto è contenuto la richiesta di buonuscita può essere elevata e viceversa, perciò il listino riporta i valori di questi due parametri nelle medesime vie cittadine.

A Milano, ad esempio, la strada commerciale con i prezzi più elevati è ovviamente via Montenapoleone, i cui negozi – considerando i punti vendita con una superficie media compresa tra 70 e 200 metri quadri con due o tre vetrine – possono chiedere buonuscite tra i 2 e i 6 milioni di euro, mentre l’affitto annuo va dai 2.000 ai 3.500 euro al metro quadro. A Roma, invece, primeggia via Condotti con buonuscite dai 2,5 ai 4 milioni di euro e un affitto dai 3.000 ai 9.500 euro al metro quadro, mentre a Napoli, le aree pedonali di via Scarlatti e via Toledo, via Dei Mille e via dei Filangieri sono le strade con le quotazioni maggiori: buonuscite da 350.000 a 1,2 milioni di euro e costo annuo al metro quadro di affitto da 900 fino a 1.400 euro. A Firenze il primo posto è per via De’ Tornabuoni con buonuscite da 1 a 3 milioni di euro e affitti annui da 1.800 fino a 2.500 euro al metro quadro, mentre a Torino la strada con i valori più elevati è via Roma con buonuscite di 1-2 milioni di euro e affitti annui di 1.000 euro al metro quadro.

I valori che si ricavano dalla lettura del listino tengono conto dell’avviamento commerciale dell’azienda, dei cespiti e delle dilazioni di pagamento, secondo gli usi della zona, e sono rappresentativi della media dei prezzi di mercato degli ultimi 12 mesi riferiti dagli agenti rilevatori. Rimangono fuori dalla stima, perciò, eventuali compravendite di aziende con caratteristiche particolari o effettuate attraverso trattative speciali che esulano dall’andamento commerciale medio di una determinata area. È necessario tenere in considerazione, inoltre, che per effettuare una valutazione più approfondita, i prezzi delle imprese commerciali riportati nella pubblicazione Fimaa devono essere misurati anche con l’ausilio di altri fattori, come la potenzialità di sviluppo dell’attività commerciale, il canone di locazione e la durata residua del contratto, il numero delle vetrine, la dimensione interna del locale e altri ancora.

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