Il canale discount è in salute e anche in Italia, nonostante il ritardo rispetto al resto d’Europa, le prospettive future sono interessanti, tra maggiore assortimento e apertura al fresco.
Arredamento spartano, allestimento e packaging essenziali, poche referenze sugli scaffali, informatizzazione limitata, qualità dei prodotti approssimativa e prezzi bassissimi. Era più o meno così che vent’anni fa si presentavano i primi discount comparsi nel nostro Paese, perlopiù nel Settentrione. In poco tempo le insegne si sono moltiplicate in maniera piuttosto disordinata sul territorio e con una diffusa improvvisazione, tant’è che molti marchi cessarono l’attività nel giro di qualche anno: se nel 1996 gli operatori di questo canale sfioravano le 70 unità oggi soltanto una decina di insegne rappresentano circa il 95% del settore discount, una concentrazione favorita negli ultimi anni anche da una serie di accordi di franchising con operatori locali. Seppure in netto ritardo rispetto ad altre realtà europee come la Germania dove la formula discount si è sviluppata subito dopo la seconda guerra mondiale, oggi questo sistema nel nostro Paese mostra una sua precisa fisionomia e rappresenta un competitor attrezzato per gli altri canali della distribuzione moderna, completandone l’offerta.
Il numero dei punti vendita discount ha avuto in Italia una decisa impennata a partire dagli anni 2005-2006, quando ha sfondato il tetto delle 3.000 unità: secondo i dati di una recente ricerca Nielsen sul canale, infatti, si è passati dai 2.430 esercizi del 1998 ai 2.782 del 2004 e poi dai 2.953 del 2005 ai 4.361 dello scorso anno. Nel primo periodo preso in considerazione l’aumento medio annuale del numero dei discount è stato del 2,3%, un tasso che si è più che triplicato nel secondo periodo, facendo segnare +7,8%. La quota di mercato del canale discount sul totale della distribuzione moderna ha raggiunto nel 2010 il 12,5%, pari a un fatturato che si aggira sugli 11,4 miliardi di euro, mentre i supermercati pesano per il 41%, gli ipermercati per il 32,8% e il libero servizio per il 13,7%.
Similmente a quanto avvenuto per il numero dei punti vendita, anche l’evoluzione della quota di mercato dei discount ha fatto registrare un’accelerazione negli ultimi quattro anni, passando dal 9,1% del 2007 al 12,5% dello scorso anno, ma a livello territoriale i dati evidenziano margini di crescita soprattutto in alcune regioni del Nord, dove il peso dei discount è ancora piuttosto limitato, come Valle d’Aosta (7,7%), Lombardia (8,3%) ed Emilia Romagna (8,8%), mentre al Centro-Sud il canale risulta maggiormente radicato: Sardegna 20%, Puglia 19,4%, Molise 18,4%, Lazio 17,5% e Umbria 17,3%. Sui quasi 17 milioni metri quadri occupati dalla distribuzione moderna in Italia il discount incide per il 14,1%, mentre il supermercato pesa per il 42,2%, l’ipermercato per il 24% e il libero servizio per il 19,8%. Tra i diversi canali, il discount risulta nel 2010 il più attivo in termini di sviluppo sia nella variazione dei metri quadri rispetto al 2009 con un +9,4%, contro il +2,6% dell’ipermercato, il +2,5% del supermercato e il -1% del libero servizio, sia nell’incidenza sul totale dei nuovi metri quadri con il 47,4%, contro il 37,6% del supermercato, il 21,9% dell’ipermercato e il -6,9% del libero servizio. Anche il fatturato al metro quadro dei discount presenta notevoli disomogeneità territoriali: ci sono regioni che si posizionano nettamente al di sotto della media nazionale che è di circa 4.500 euro per metro quadro, come il Veneto (3.482), la Calabria (3.628) e la Sicilia (3.779), mentre altre fanno registrare fatturati più elevati, come il Lazio (5.983), la Liguria (5.610) e la Toscana (5.153).
Dai dati Nielsen emergono anche i primi segnali di maturità di questo canale: il fatturato al metro quadro, infatti, dopo una crescita del 7,3% dal 2007 al 2008 e del 4,7% dal 2008 al 2009 ha fatto registrare nel 2010 una battuta d’arresto (-2,1%), passando da 4.635 a 4.536 euro. Altro campanello d’allarme per i discount è rappresentato dagli andamenti delle vendite a parità di rete nel 2009, che sono stati inferiori a quelli dei supermercati (-0,4% contro -0,1%) – anche se migliori di quelli degli ipermercati (-2,3%) – una differenza che si è allargata nei primi nove mesi del 2010 (-0,2% contro +0,5%). Tale risultato, tuttavia, è condizionato dal peso dell’inflazione poiché i discount risentono, più degli altri canali della distribuzione moderna, degli sbalzi dei prezzi delle materie prime non investendo – se non in piccola parte – su strumenti di marketing o politiche di posizionamento.
«Il panorama dei discount – afferma Antonio Mantero, direttore di Ekom del Gruppo Sogegross – ha raggiunto in breve tempo un alto livello di maturità e saturazione. Questo è dimostrato in maniera chiarissima dall’andamento del fatturato delle reti omegenee che è molto statico, praticamente con un trend di crescita vicino allo zero. Purtroppo l’attuale crisi economica, e di conseguenza la caduta del potere d’acquisto dei consumatori, ha determinato nei clienti un’attenta ricerca di convenienza senza però rinunciare contemporaneamente al fattore “risparmio tempo”, ritenuto un importante criterio di selezione al momento della spesa. Si è quindi creata una convergenza tra necessità di risparmio e reperimento della globalità della spesa in un’unica superficie di vendita. Questo rappresenta sicuramente un punto su cui concentrare l’attenzione a livello di proposta commerciale, in modo da soddisfare un numero sempre crescente di clienti e aumentare le quote di spesa». Grazie a un ritmo di quasi 300 nuove aperture all’anno, i discount crescono del 6,4% a valore e del 9,9% a volume, un trend nettamente superiore a quello fatto registrare dall’aggregato ipermercati/supermercati, il cui incremento non è andato oltre lo 0,2% a valore e l’1% nelle quantità.
«Stiamo probabilmente attraversando la fase di maturità – spiega Alberto Vincenti, direttore vendite di Todis – caratterizzata dal fatto che la numerica dei punti vendita è già molto elevata e che la concorrenza verticale (supermercati, superstore e iper), supportata dall’industria leader di marca, promoziona i prodotti portando i livelli di prezzo su valori paragonabili a quelli venduti nei discount. Pertanto si tratta di definire nuove politiche di marketing per uscire dal confronto e contemporaneamente attaccare sul fresco la grande distribuzione organizzata. Abbiamo iniziato da alcuni mesi l’inserimento del banco gastronomia e stiamo tuttora testando alcuni banchi serviti di macelleria per capire quanto possa costituire elemento di scelta da parte del consumatore. Credo che proprio la maggiore attenzione ai freschi che si esplicita in un nuovo layout e all’inserimento di banchi serviti possa costituire la vera prospettiva per il futuro del canale». Secondo i dati Nielsen, però, nonostante i radicali cambiamenti degli ultimi anni, attualmente più della metà dei negozi discount non è fornito di banco di vendita assistito, mentre il 32% non è dotato di un reparto carne e il 15% di un reparto ortofrutta.
«Per noi la strada da seguire per continuare la crescita – fanno sapere dalla Direzione di Lidl Italia – si può riassumere nel seguente principio: innovazione al servizio del cliente. Il discount è un formato in continua evoluzione, sia nell’assortimento sia nel layout, basti pensare che nel 1992, anno dell’arrivo in Italia della nostra insegna, l’assortimento di un punto vendita era composto da poche centinaia di referenze, oggi offriamo ai clienti un range completo di oltre 1.300 prodotti. Nell’ottica di un continuo sviluppo dell’offerta, abbiamo recentemente inserito nel nostro assortimento gli affettati freschi in comode vaschette take-away e la novità ha riscosso fin da subito grande successo presso i nostri clienti. Un altro elemento da tenere in considerazione per lo sviluppo del canale è la continua rivisitazione del punto vendita. Da poco abbiamo attuato un importante piano di rinnovamento del layout delle nostre filiali, posizionando, tra l’altro, oltre al banco frutta e verdura anche il reparto carne in prima corsia. Tutto ciò per enfatizzare ulteriormente la freschezza e la qualità dell’offerta all’interno di ambienti più attraenti e confortevoli, anche grazie a un’illuminazione appositamente studiata». In effetti negli ultimi anni molti operatori di questo canale hanno modificato molto il format del punto vendita avvicinandosi al consumatore, sia in termini di assortimento sia di servizio, anche se la filosofia di base del discount rimane quella di vendere prodotti a prezzi decisamente più bassi rispetto a quelli dei supermercati.
«Preferiamo puntare sui prodotti confezionati – afferma Cristian Bertagnini, direttore vendite di Tuodì, insegna del Gruppo Tuo – che ci assicurano un rifornimento continuo e un’attenta selezione dei fornitori basata sulla qualità. In questo modo evitiamo un forte impatto sui costi di gestione, come accadrebbe, invece, con il banco del fresco, che inevitabilmente farebbe lievitare il prezzo finale, ma assicuriamo lo stesso qualità e freschezza. Risultato finale: rispondere alle logiche di mercato nella richiesta di un discount che assomigli sempre di più a un negozio, anche nella presentazione e soprattutto nella qualità, ma allo stesso tempo non snaturare l’essenza del discount basata sul prezzo. Il prezzo, infatti, gioca nel discount il ruolo dell’attaccante, anche se il contenuto inizia a fare la sua parte. Non cerchiamo, quindi, grandi spazi per grandi superfici, come i nostri competitor, piuttosto prediligiamo la logica del negozio anche nel centro della città, senza per questo sacrificare la competitività dei prezzi». I dati Nielsen relativi ai primi nove mesi del 2010 evidenziano andamenti dei discount piuttosto disomogenei nelle diverse aree merceologiche. Se il petcare/petfood, le bevande e il fresco sono ampiamente sopra la media del canale sia per trend di crescita sia per quota di mercato, al contrario la cura della persona e l’ortofrutta rimangono molto al di sotto dei valori medi, mentre la drogheria alimentare e il freddo, seppure con una crescita limitata, continuano a pesare non poco sui rispettivi mercati.
Tra le categorie di prodotto presenti sugli scaffali dei discount che incidono maggiormente sulle vendite complessive della distribuzione moderna si distinguono gli oli di semi vari (43,3%), le bibite non gassate a base di frutta (37%), gli oli di semi di girasole (33,1%) e l’alcol puro (29,1%), mentre le birre alcoliche sono l’articolo più venduto all’interno dei discount (2,7% del totale), seguite dalle merendine (2,5%), dal latte Uht (2,4%) e dall’acqua non gassata (1,9%). È interessante notare come negli ultimi anni i discount pongano una certa attenzione nell’introdurre nel proprio assortimento anche prodotti di nicchia, ad esempio gli alimentari biologici: se nel canale aggregato ipermercati/supermercati questo segmento detiene una quota pari all’1,75% del totale, nei discount la penetrazione è sicuramente inferiore, ma non così distante rappresentando lo 0,6% (con un aumento del 15,6% rispetto al 2009), un dato che si concentra soprattutto sui cibi per l’infanzia, sulle bevande piatte e sul pane e sostitutivi.
Sempre secondo i dati Nielsen, nell’ultimo anno praticamente tutte le famiglie italiane (96,9%) hanno fatto la spesa almeno una volta in un discount. Il frequentatore tipo di questo canale fa parte di una famiglia numerosa, con figli grandi, con un reddito basso, ma c’è anche un 16% che appartiene a ceti medio-alti. Il primo driver di scelta di un discount per il consumatore è la qualità dei prodotti complessivamente buona, poi segue un giusto rapporto qualità-prezzo, la qualità simile o superiore ai prodotti delle private label dei supermercati, la gradevolezza e l’igiene del punto vendita, mentre tra le ragioni meno importanti c’è la disponibilità delle differenti forme di pagamento, la possibilità di usufruire di programmi fedeltà attraenti e la presenza delle principali marche conosciute.
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