L’Italia è tra i maggiori produttori del settore, che ha ancora ampi margini di crescita. I pesci e i molluschi allevati non hanno nulla da invidiare a quelli pescati.
Il settore dell’acquacoltura italiana rappresenta un patrimonio unico di conoscenze, esperienze, tecniche, valori e cultura ancora poco conosciuto soprattutto dai consumatori, che spesso hanno una percezione alterata delle attività di allevamento e delle caratteristiche di pesci, crostacei e molluschi allevati, anche a causa di una certa difficoltà nel reperire informazioni corrette. Eppure il 40% della produzione ittica nazionale proviene proprio da questa tipologia di pesca che, se attuata in maniera sostenibile, costituisce una grande opportunità per preservare gli ambienti acquatici e per contrastare lo svuotamento della fauna marina, oltre a offrire prodotti di elevato valore in termini nutrizionali, organolettici e di sicurezza alimentare.
Il nostro Paese è il quarto produttore europeo nel comparto dell’acquacoltura, dietro a Spagna, Regno Unito e Francia. Sul territorio nazionale operano circa 800 impianti che producono ogni anno circa 150.000 tonnellate di prodotti ittici freschi. Nel 2018, secondo i dati elaborati dall’Associazione piscicoltori italiani (Api), la produzione di pesci d’allevamento ha superato le 62.300 tonnellate per un valore di oltre 300 milioni di euro. Tra le specie maggiormente allevate c’è la trota con 37.500 tonnellate, l’orata con 9.700 tonnellate e la spigola con 7.300 tonnellate. Oltre ai pesci, l’Italia vanta un’importante produzione da molluschicoltura che lo scorso anno ha sfiorato le 100.000 tonnellate per un valore di oltre 280 milioni di euro. I mitili sono la tipologia più allevata (oltre 62.000 tonnellate), seguiti dalle vongole (circa 37.000 tonnellate) e dalle ostriche (80 tonnellate). L’ultimo segmento dell’acquacoltura è costituito dai crostacei, la cui produzione si attesta sulle 10 tonnellate (200.000 euro).
«L’acquacoltura è un settore determinante e strategico non soltanto per il nostro Paese – afferma Pier Antonio Salvador, presidente dell’Associazione piscicoltori italiani – ma per l’intero pianeta. Da tanti anni, infatti, la Fao invita a consumare sempre più pesce, perché le sue proprietà nutrizionali sono un valido aiuto alla prevenzione di molte malattie. Calcolando, però, che presto la popolazione mondiale arriverà a 10 miliardi di abitanti, è necessario incrementare la produzione ittica in maniera consistente, ma sempre attraverso attività ecosostenibili. Da questo punto di vista, le aziende produttive italiane dell’acquacoltura sono sempre state all’avanguardia, sia nella segmento dell’acqua dolce sia in quello dell’acqua salata. Gli allevamenti possono contare ancora su un ambiente naturale molto buono e su mangimi eccellenti, che la nostra associazione monitorizza costantemente, soprattutto quelli medicati».
Proprio il tema della somministrazione di farmaci negli allevamenti ittici è stato in passato al centro di polemiche e di informazioni non sempre accurate, che spesso hanno disorientato il consumatore. «Bisogna sfatare un pregiudizio – continua Pier Antonio Salvador – è assolutamente falso che nel nostro settore si utilizzino medicinali con molta leggerezza: un allevatore ricorre a un farmaco soltanto quando non ne può fare a meno, perché comunque per lui è un costo e le cure, inoltre, rallentano la crescita dei pesci, perciò lo fa esclusivamente per il benessere dell’animale».
Il pesce costituisce un alimento fondamentale per l’organismo umano, poiché contiene diverse sostanze importanti per la salute, come proteine, vitamine, minerali e soprattutto gli acidi grassi Omega 3, che svolgono una funzione protettiva per diversi organi del nostro corpo e che possono essere assimilati sia dal consumo di pesce pescato sia di quello allevato, con differenze poco rilevanti.
«I prodotti dell’acquacoltura sono assolutamente freschi – spiega Stefano Marturano, responsabile produzione e ricerca e sviluppo di Azienda agricola Pisani Dossi – si raccoglie quando si vuole e quanto è necessario, il pesce viene mantenuto in perfette condizioni igieniche e di temperatura in ogni passaggio, i controlli sono attenti, scrupolosi e svolti sia dal personale tecnico degli stabilimenti sia dagli operatori specializzati delle aziende sanitarie locali. Posso anche capire, ad esempio, che un bel branzino pescato in acque libere e pure abbia miglior sapore e consistenza di uno cresciuto in vasche o gabbie galleggianti, però non stiamo parlando di un ottimo prodotto contro uno scadente. Inoltre, del branzino selvaggio non sappiamo dove ha vissuto, cos’ha mangiato, com’è stato portato sul mercato e se è veramente fresco».
Tutte informazioni, invece, che l’azienda lombarda specializzata nella storionicoltura può fornire, così come tutte le imprese del settore. «Seguiamo tutto il ciclo biologico di diverse specie di storioni – continua Stefano Marturano – dalla loro riproduzione fino alla lavorazione del prodotto finito, come filetti freschi o affumicati e caviale. Il sistema di allevamento può essere definito semi-estensivo poiché, pur alimentando gli storioni con mangime a base di farina di pesce prodotto da ditte specialistiche, mantiene i pesci a bassa densità di popolazione in bacini in terra battuta di grandi dimensioni e fornisce il nutrimento saltuariamente e “a richiesta”, ovvero mediante un meccanismo che rilascia il mangime se gli animali urtano un’apposita asticella. L’acqua di alimentazione dei bacini, inoltre, viene prelevata in falda a 40 metri di profondità ed è purissima».
Per la grande varietà di ambienti naturali di cui è ricco il nostro Paese, nel corso degli anni l’acquacoltura italiana ha potuto sviluppare tante tipologie di allevamento a seconda delle diverse specie ittiche.
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