Il sistema cooperativo rappresenta per le aziende vitivinicole italiane uno strumento per incrementare la capacità produttiva e far fronte in maniera competitiva al mercato, in patria come all’estero.
La cooperazione svolge da sempre un ruolo fondamentale per il sistema produttivo italiano, soprattutto per l’industria alimentare: oggi valorizza un terzo della materia prima agricola e influisce per circa un quarto sul giro d’affari complessivo generato dal comparto, servizi esclusi. Il modello cooperativo, però, dimostra di essere ancora più determinante nel settore vitivinicolo, nel quale riesce a incidere in maniera significativa sulla crescita economica delle attività produttive, sulla tenuta dell’occupazione, sulla gestione dei vigneti e sulla tutela dei territori anche nelle zone più svantaggiate del Paese.
A conferma del notevole impatto che le cooperative vinicole hanno sulla nostra viticultura ci sono i risultati di una recente indagine effettuata da Winemonitor-Nomisma, secondo cui oggi la cooperazione vitivinicola italiana è una realtà in crescita, conta quasi 500 imprese e più di 140.000 soci viticoltori riuniti con circa 9.000 dipendenti. Nel 2017, le cantine cooperative hanno realizzato un fatturato di 4,5 miliardi di euro, pari al 42,5% dell’intero giro d’affari del settore.
Negli ultimi dieci anni, nonostante la crisi, le cantine cooperative hanno evidenziato un tasso di sviluppo economico superiore a quello della media del comparto (+40,7% contro +38,2%) e, se si considerano le prime venti per dimensioni, il trend di crescita ha sfiorato addirittura il 53%. Stesso discorso in termini di livelli di occupazione: sempre nel medesimo periodo, la cooperazione è riuscita a incrementare le retribuzioni lorde del 37,4% (contro il +36% del settore), mentre le maggiori venti cooperative hanno messo a segno un +51,8%.
«L’unione fa la forza – afferma Mauro Fontana, direttore di Cantina Valtidone – questa è la sintesi e lo spirito della cooperazione. Una forza che risiede nell’essere uniti per affrontare con più vigore problemi e necessità comuni con l’obiettivo di ottenere risultati irraggiungibili dal singolo. Detto questo, scendendo nello specifico dell’esperienza della nostra cooperativa, siamo riusciti a mantenere vivo lo spirito imprenditoriale dei singoli soci da cui dipende la vita del nostro territorio e, remunerando le uve in modo congruo, abbiamo preservato l’economia principale della nostra valle basata sulla viticultura e sul suo indotto. Inoltre, con progetti mirati come la linea “50 Vendemmie”, nata nel 2016 (anno di celebrazione del cinquantesimo anniversario di attività della nostra azienda) e che ha visto isolare vigneti di almeno 50 anni di età, la nostra cantina è riuscita a premiare i soci che hanno aderito a questa iniziativa in modo tale da salvaguardare vigneti storici a bassa resa, che altrimenti sarebbero stati irrimediabilmente cancellati dal nostro territorio».
La cooperazione vitivinicola ha certamente uno stretto legame col territorio e con la propria base sociale, un vincolo che appare ancora più saldo nella fase di approvvigionamento della materia prima agricola. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sulla cooperazione agricola del Ministero delle Politiche agroalimentari e forestali, infatti, la provenienza delle uve valorizzate dal sistema cooperativo è soprattutto locale e regionale (80%), mentre il ricorso a fornitori più distanti ha un ruolo decisamente minoritario (20%).
«Nel 1960, nel pieno del clima di fermento vitivinicolo che animava il territorio abruzzese, negli anni in cui le campagne si spopolavano e molti italiani lasciavano il Paese in cerca di un futuro migliore – spiega Tonino Verna, presidente di Cantina Tollo – altri sceglievano di restare nei vigneti e dar vita alla nostra cooperativa. Questa scelta coraggiosa ha contribuito a segnare un cambiamento radicale nella geografia viticola regionale, facendo sì che Tollo diventasse una vera “città del vino”. I valori della cooperazione sono quindi stati, e lo sono ancora oggi, le radici che ci hanno permesso di crescere anno dopo anno, affinando sempre più il lavoro in vigna e in cantina per valorizzare al meglio i vitigni autoctoni abruzzesi, facendoli conoscere e apprezzare in tutto il mondo».
Negli ultimi vent’anni, le cooperative hanno mostrato una crescita dei prodotti di fascia alta all’interno della propria offerta, vale a dire i grandi vini con un prezzo al consumo superiore ai 25 euro e le denominazioni Docg e Doc. Questa produzione più qualificata – secondo i dati di una recente indagine realizzata da Mediobanca – è salita dal 41,3% del 1996 al 55,3% del 2018, mentre tra le altre imprese non cooperative del comparto è rimasta pressoché stabile, intorno al 53%.
«Insieme ai nostri soci abbiamo scelto di lavorare e investire sul futuro del vino – continua Tonino Verna – impegnandoci a coniugare tradizione vitivinicola e innovazione enologica. Abbiamo portato avanti per oltre 50 anni una strategia all’insegna di un costante incremento della qualità, e i traguardi raggiunti ci hanno dato ragione. La dimostrazione concreta di questo impegno è il progetto “Vigneto avanzato”, con il quale è stata introdotta la retribuzione al socio per ettaro lavorato e non più per quintale prodotto, che ha portato in vigneto proprio la cultura della qualità. Un progetto che ha cambiato radicalmente la filosofia produttiva di tutti, permettendo di ottenere una costanza qualitativa eccezionale, e che rende ciascuno dei nostri circa 700 soci un attore fondamentale all’interno della cantina».
La crescita della qualità generale del vino è andata di pari passo con l’evoluzione delle principali cooperative vitivinicole che, nel corso degli anni, sono riuscite ad aumentare il proprio fatturato e a garantire livelli crescenti di remunerazione del fattore lavoro lungo tutta la filiera.
«La cooperazione non acquista uva sul mercato per fini speculativi – dichiara Marco Nannetti, presidente di Terre Cevico – i soci le affidano il frutto del loro lavoro affinché questo venga valorizzato al meglio. La mission cooperativa, perciò, è la remunerazione delle uve a condizioni migliori rispetto agli standard medi del mercato di riferimento. Dal dopoguerra a oggi, la presenza della cooperazione nelle campagne romagnole ha quindi permesso anche ai piccoli proprietari di terreni agricoli di poter affrontare il mercato con la stessa dignità dei colleghi più grandi e strutturati. Il risultato tangibile di tutto ciò è lo sviluppo della viticoltura su gran parte del nostro territorio, con il contestuale abbandono del vigneto nelle zone ove la cooperazione non si è altrettanto diffusa. Questi aspetti hanno avuto, e li hanno ancora oggi, significativi impatti a livello di crescita socioeconomica delle nostre terre. Sono infatti molteplici anche le attività dell’indotto relativo al settore vitivinicolo che, laddove trovano uno sviluppo significativo, si realizzano con la crescita di imprese dedicate all’impiantistica, alla gestione, alla raccolta meccanizzata, al marketing, alla logistica e a quant’altro utile alla produzione e vendita del vino».
La forma della cooperazione, perciò, sembra costituire un’importante leva di supporto non soltanto per la produzione del vino, ma anche per l’intero sviluppo socioeconomico della zona in cui si opera.
«Attraverso la liquidazione delle uve, annualmente distribuiamo circa 70 milioni di euro ai nostri soci – spiega Bruno Trentini, direttore generale di Cantina di Soave – una cifra che per il nostro territorio significa cambiare completamente la visione di un’economia che vent’anni fa ha visto il sistema imprenditoriale veneto andare in profonda crisi. Dopo il 2007, infatti, le aziende artigianali piccole e medio-piccole sono quelle che hanno sofferto di più e la cooperazione è stata fondamentale per la ripresa. Si è così verificato uno spostamento da vari comparti verso l’agricoltura e, più nello specifico, nel settore del vino, portando il Veneto ad avere il maggiore sviluppo vitivinicolo della nazione, con un aumento del suo vigneto di 7.000 ettari».
Le regioni che evidenziano sia una minore presenza cooperativa sia dimensioni medie più basse delle stesse cooperative – sempre secondo lo studio di Winemonitor-Nomisma – sono anche quelle che nell’ultimo quinquennio hanno ridotto maggiormente la coltivazione della vite, facendo registrare contrazioni superiori alla media nazionale (-7,3%): eclatanti i casi della Basilicata (-59,7%), dell’Umbria (-30,5%) e della Calabria (-21,2%). Al contrario, nelle prime tre regioni per dimensione media cooperativa (Emilia Romagna, Veneto e Trentino Alto Adige), dove il fatturato medio supera i 20 milioni di euro e dove risiede un quarto di tutte le cooperative vitivinicole italiane, la superficie complessiva dei vigneti non soltanto non ha mostrato una riduzione, ma è addirittura cresciuta del 3%.
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