Le vending machine sono ormai uno strumento di erogazione ampiamente diffuso; l’analisi delle dinamiche di acquisto può fornire utili strumenti per implementare le loro potenzialità d’impiego.
I distributori automatici sono entrati a far parte della vita quotidiana di ognuno di noi già da molto tempo, oggi non c’è ospedale, azienda, università o stazione che ne sia sprovvisto. Basti pensare che nel nel corso del 2016 – secondo i dati elaborati dall’Associazione italiana distribuzione automatica (Confida) – nelle 800.000 vending machine sparse per tutta la penisola sono state registrate 5 miliardi di consumazioni, di cui il 65% di prodotti caldi con oltre 2,7 miliardi di caffè, il 19% di bevande fredde con più di 722 milioni di bottigliette d’acqua e il 16% di snack sia dolci sia salati.
Per il Censis, sono oltre 25 milioni gli italiani che ogni anno effettuano acquisti da una macchina distributrice, mentre 5,3 milioni sono utilizzatori regolari. In termini di fasce di età, gli utenti più numerosi sono quelli sotto i 40 anni (il 73,5% dei cosiddetti “millennials”), il 27% dei quali utilizza i distributori quotidianamente, il 30% da una a tre volte alla settimana e un ulteriore 19% da una a tre volte al mese. Il canale della distribuzione automatica rappresenta circa il 4,5% dei consumi alimentari al di fuori delle mura domestiche, un dato che è in costante crescita. Le vending machine si stanno evolvendo rispetto al passato e mostrano un’offerta di prodotti sempre più ampia e una tecnologia sempre più avanzata e intelligente che sta modificando non soltanto il modo di interazione con il consumatore, ma anche la loro capacità attrattiva.
Proprio con l’obiettivo di misurare quest’ultimo aspetto, l’Associazione europea del vending (Eva) ha commissionato una ricerca all’Università politecnica delle Marche. L’indagine – presentata allo scorso “Evex 2017” organizzato a Roma da Eva in collaborazione con Confida – ha analizzato con l’ausilio di telecamere con sensori di profondità Rgb-d il comportamento di circa 17.000 consumatori di fronte a diverse tipologie di macchine distributrici poste in quattro locazioni tipiche del vending (università, azienda, ospedale e negozio automatico) nell’arco di dodici settimane, mostrando l’importanza dell’analisi dei cosiddetti “big data” in questo settore. Dai risultati della ricerca emergono sostanziali differenze tra le abitudini dei fruitori dei distributori automatici a seconda dei vari luoghi presi inconsiderazione. All’università e in ospedale, ad esempio, meno di una persona su quattro che transita nell’area dove sono posizionate le vending machine si ferma a dare un’occhiata o a effettuare un acquisto (rispettivamente il 17% e il 23%).
Queste percentuali, però, si alzano in maniera molto netta in un ambiente lavorativo privato (81%) e, ovviamente, in un negozio self-service (98%), in cui il potere attrattivo delle macchine distributrici è amplificato anche dalla presenza di schermi interattivi. Per decidere cosa comprare da un distributore automatico la maggior parte delle persone impiega meno di 15 secondi, superato questo lasso di tempo è molto difficile che l’acquisto vada a buon fine: un acquirente su tre compie la sua transazione in meno di 5 secondi, mentre un altro 22% rimane al di sotto dei 10 secondi. «Questo dato va un po’ a sfatare un mito – spiega Emanuele Frontoni, professore di fondamenti di informatica e computer vision all’Università politecnica delle Marche, autore della ricerca in collaborazione con Gianluca Gregori e Luca Marinelli – che è quello di tenere le persone ferme davanti agli scaffali o alle vending machine per tanto tempo. In realtà, il distributore automatico, probabilmente per sua stessa definizione, è un canale fast, in cui il tema della velocità è essenziale. Attraverso la nostra indagine, abbiamo messo in evidenza come l’interazione del consumatore con una macchina poco usabile e con un funzionamento troppo complesso non porti ad alcun acquisto, proprio perché dopo la soglia dei 15 secondi l’utente in pratica perde la pazienza e se ne va».
Tale atteggiamento di insofferenza, inoltre, si acuisce di fronte a vending machine che presentano al loro interno spazi vuoti tra i prodotti. Osservando il comportamento di consumatori di fronte a macchine con assortimenti incompleti del 25%, la ricerca evidenzia come si abbassi in maniera molto netta la loro capacità attrattiva: se infatti all’università circa il 73% degli studenti che si ferma davanti a un distributore pieno di prodotti conclude un acquisto, la percentuale crolla a meno del 10% di fronte a una vending con un’offerta parziale, mentre se l’ambiente è un’azienda privata la differenza è più contenuta, ma sempre netta (69% contro 49%). La carenza di prodotti, inoltre, incide negativamente anche sul tempo medio di permanenza dell’utente, che diminuisce in maniera rilevante. Questo avviene probabilmente perché il consumatore pensa che quella macchina sia abbandonata, con prodotti vecchi o addirittura scaduti, perciò non si fida. Anche la collocazione delle vending machine in un’area piuttosto che in un’altra dello stesso edificio incide in maniera importante sulle performance finali, non basta posizionarle alla presa di corrente più vicina. La ricerca ha infatti dimostrato come spostando semplicemente i distributori da una zona interna di un grande ospedale marchigiano a un’altra in prossimità dell’uscita, dove in precedenza era stato rilevato un passaggio di persone molto più consistente, gli acquisti siano saliti del 34%.
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