Il prodotto lavorato in busta, oggetto di accuse sui metodi di allevamento mosse da organi stampa e tv, rivendica le sue caratteristiche di qualità e sostenibilità.
Il salmone lavorato in busta, per lo più affumicato, ha ormai abbandonato la sua stagionalità di un tempo e non è più considerato dal consumatore italiano come una specialità da ricorrenza da mettere in tavola esclusivamente a Natale. Negli ultimi anni, infatti, questo prodotto ittico è stato in grado di guadagnarsi uno spazio sempre più consistente all’interno dei nostri pasti grazie a diversi fattori, tra cui l’aumento della qualità media, l’ampliamento dell’offerta a scaffale, l’elevato contenuto di servizio, l’utilizzo di packaging innovativi, il calo del prezzo di vendita e la crescente ricerca da parte del consumatore di alimenti naturali e salutistici in sostituzione delle proteine della carne.
Ultimamente, però, il settore ha dovuto fare i conti con un certo allarmismo causato da alcune inchieste giornalistiche e trasmissioni televisive che hanno messo sotto accusa i metodi di allevamento dei salmoni, evidenziando criticità sia dal punto di vista del benessere degli animali sia della sostenibilità ambientale. A tale campagna mediatica è seguita la seccata reazione da parte delle aziende del comparto, alcune delle quali hanno messo in campo una serie di iniziative in termini di comunicazione e marketing per smontare gli attacchi e rassicurare il consumatore.
Lo scorso anno – secondo i dati Iri – nei punti vendita della grande distribuzione organizzata, discount esclusi, il mercato del salmone affumicato ha evidenziato vendite per quasi 8,7 milioni di chilogrammi con una sostanziale tenuta rispetto ai dodici mesi precedenti (+0,2%), ma con un netto aumento in valore del 7,9% grazie a un fatturato di circa 284 milioni di euro. In termini di ripartizione territoriale, il 35% dei volumi complessivi è stato acquistato nel Nordovest, il 17,8% nel Nordest, il 29% al Centro e il 18,2% nel Meridione, mentre il 72% delle vendite è stato realizzato nei supermercati e il 16,8% negli ipermercati. I primi tre produttori coprono a valore il 26,4% del mercato, mentre le private label pesano per il 31,9%.
«Il salmone affumicato è entrato nei consumi di massa per gradi – afferma Francesco Pedrini, direttore vendite di Coam – con prezzi via via più abbordabili e maggiori quantità sul mercato grazie al proliferare dei grandi allevamenti. Finalmente, complice anche la moda del crudo e quindi l’apprezzamento per il salmone non soltanto affumicato ma anche marinato, a tartare e carpaccio, è sempre più facile reperirlo e consumarlo. Le informazioni, non solamente scandalistiche, dividono i consumatori i quali, secondo la loro sensibilità e la possibilità economica, scelgono pesci selvaggi, al riparo da problemi di allevamento e sfuggendo a offerte apparentemente allettanti che non hanno spesso giustificazione rispetto i costi della materia prima. A questo corrisponde anche una maggiore attenzione per la confezione che, se in atmosfera protettiva, garantisce, come ormai da venti anni per i salumi, maggiore fragranza al prodotto. La nostra azienda, leader per il salmone selvaggio Red King, beneficia ampiamente di questa abitudine e vede finalmente riconosciuta la scelta di prediligere prodotti di qualità grazie anche all’inserimento nel mercato biologico, sensibile prima e più di altri alla qualità della materia prima, al benessere della specie (pesca sostenibile), al tipo di cattura (selettiva non di massa) e al sistema di lavorazione non soltanto per salmoni di grosse dimensioni, ma anche nei formati da uso quotidiano e da scorte di famiglia».
La maggior parte del salmone lavorato in busta consumato in Italia, però, è della specie Salmo salar (o salmone dell’Atlantico) e viene allevato in grandi gabbie nei fiordi norvegesi, ma anche in Scozia e in Irlanda. Una volta raggiunta la taglia commerciale, i pesci vengono eviscerati, spellati e filettati, quindi si passa alla fase della salatura che può avvenire attraverso iniezioni di una miscela di acqua e sale – un metodo economico e veloce, ma che rende le carni piuttosto deperibili – oppure il procedimento “a secco”, con il quale il salmone viene salato a mano e fatto riposare fino al totale assorbimento dei grani di sale. Altro passaggio fondamentale è l’affumicatura, che può avvenire “a caldo” o “a freddo”, quest’ultima non supera i 25 °C e viene usata per i salmoni destinati al mercato italiano: all’interno di celle ventilate, i pesci vengono esposti alla combustione senza fiamma di legna pregiata o fumo liquido. Le differenti lavorazioni e l’origine (pescato o allevato) condizionano il prezzo di vendita del prodotto finito, anche se il consumatore non sempre sembra sufficientemente informato su tali aspetti.
«Il mercato del salmone affumicato è ancora giovane secondo il nostro punto di vista – afferma Nico Palazzo, responsabile marketing di La Nef – vediamo ampi margini di miglioramento sia nel livello qualitativo delle referenze sia nella cura e razionalità degli assortimenti. Sicuramente si può fare molto in termini di freschezza del prodotto finito, cercando di abbassare la shelf life ai livelli europei, così da avere un alimento sempre più sicuro e con basso contenuto di sale. Quello che manca, a volte, è una conoscenza specifica sul “salmone affumicato”, spesso valutato senza sapere tutte quelle specifiche produttive che danno un valore aggiunto reale. Il nostro impegno è sempre rivolto nell’affermarci come identità di mercato forte e solida, capace di offrire un prodotto sempre costante nel tempo che presidi le fasce medio alte del mercato. Continueremo a investire in comunicazione e marketing per dare un adeguato sostegno agli intermediari che sceglieranno la nostra filosofia. I numeri ci dicono che la strada intrapresa è corretta e remunerativa per tutti i nostri partner».
Sugli scaffali dei supermercati e degli ipermercati ormai l’offerta di salmone lavorato in busta è davvero ampia, con referenze che riescono a intercettare ogni necessità di acquisto in termini di grammatura, prezzo, origine e lavorazione.
«Negli ultimi anni si è assistito a un forte interesse del consumatore verso prodotti provenienti dalla cultura gastronomica giapponese (sushi in primis) – dichiara Gianpaolo Ghilardotti, titolare di Foodlab – e la categoria del salmone ne ha sicuramente beneficiato con l’ingresso a scaffale di prodotti poco lavorati (tartare e carpacci solamente salati, non affumicati) e dei filetti (la parte più pregiata del salmone) sia interi sia preaffettati “stile sashimi”. I consumi rimangono focalizzati principalmente sui prodotti da allevamento norvegese e, in misura minore, scozzese ma sono in forte crescita anche gli acquisti di salmone biologico e di quello selvaggio, sia nella varietà Sockeye sia nell’ancor più pregiato Red King. Nell’ultimo semestre si è rilevato generale un rallentamento dei consumi, causato principalmente dai forti rincari della materia prima, quindi prezzi più alti per il pubblico».
A tale frenata potrebbero aver contribuito le polemiche scaturite dalle recenti campagne mediatiche sulle criticità dei metodi di allevamento dei salmoni. Sotto accusa sono finiti soprattutto gli impianti nei fiordi norvegesi: sovraffollamento delle gabbie, precarie condizioni igienico-sanitarie, utilizzo di sostanze chimiche dannose per la salute umana e danni ambientali sono tra le principali questioni controverse.
«Verifichiamo costantemente gli impianti delle aziende che ci forniscono la materia prima fresca settimanalmente – continua Gianpaolo Ghilardotti – tutti i nostri fornitori sono certificati Asc e Globalgap, a garanzia di sostenibilità ambientale e di benessere dell’animale. Recentemente la nostra responsabile qualità ha sottoposto a verifica ispettiva il nostro principale fornitore e sono emersi elevatissimi standard nella gestione igienico-sanitario, a garanzia dell’utilizzatore e del consumatore finale, che uniti ai nostri esclusivi metodi di lavorazione del salmone ci consentono di offrire ai nostri clienti una gamma di prodotti di grande qualità».
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