Combattere le frodi nel settore agroalimentare in Europa è un lavoro piuttosto complicato, anche a causa delle diverse interpretazioni di ciascun Stato membro nei confronti dei reati. Una difficoltà messa in luce dal Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (Nas) nel corso di una recente audizione presso la Commissione agricoltura del Senato. Il maggiore Sergio Tirrò, capo Sezione addestramento e studi del comando dei Nas – anch’egli presente all’audizione – ha raccontato a Largo Consumo il suo punto di vista.
«La cooperazione tra i vari Stati europei è molto buona, il problema è la diversa armonizzazione della normativa penale in questa materia adottata da ciascun Paese. Mentre la legislazione alimentare che riguarda tutti gli aspetti igienico-sanitari e i relativi controlli è stata uniformata a livello comunitario nel 2004 attraverso il cosiddetto “pacchetto igiene”, ogni Stato dell’Unione europea mantiene la propria sovranità per legiferare in termini penali. Nel momento in cui viene scoperta una frode, perciò, la stessa infrazione è valutata in maniera diversa nei vari Paesi e può rappresentare una barriera per le forze di polizia che devono interagire nei reati transnazionali, come sono quelli alimentari.
Un caso emblematico è quello della frode della carne di cavallo di qualche anno fa che ha visto coinvolti una serie di Stati, in cui ciascun componente dell’organizzazione criminale in questione era in grado di poter immettere illecitamente carne equina proveniente da macellazione clandestina all’interno dei preparati a base di carne poi venduti nella grande distribuzione. Il problema emerso in quella circostanza è stato il diverso approccio avuto dai vari Paesi nei confronti della frode: per alcuni era solamente una questione di etichettatura, da sanzionare in termini amministrativi, per altri – come l’Italia – si trattava invece di reati di natura penale. Questa differenza di valutazione ha creato un ostacolo alle nostre forze di polizia, soprattutto per l’acquisizione degli atti per i fascicoli processuali.
Altro problema è quello che riguarda la reale capacità e preparazione dei diversi operatori coinvolti. Molti Stati dell’Unione europea hanno istituito delle authority, agenzie nazionali per la sicurezza alimentare con compiti ispettivi, ma i funzionari di questi organismi incontrano grandi difficoltà nel momento in cui s’imbattono in un illecito penale, poiché non hanno le competenze e la professionalità per poter svolgere indagini di polizia giudiziaria. Devono, quindi, demandare alle forze locali di pubblica sicurezza l’eventuale prosecuzione delle inchieste, ma spesso capita che in alcuni Paesi la polizia sia meno sensibile o meno preparata a investigare nel settore alimentare, perché magari aggiungere sostanze chimiche all’interno di prodotti alimentari viene considerato un reato di minore importanza rispetto a omicidi, traffico di droga o terrorismo. In realtà, si tratta di una visione piuttosto parziale, poiché l’impatto sull’opinione pubblica di un alimento adulterato e rischioso per la salute può essere devastante.
Per uscire da questa situazione sono state avviate una serie di iniziative, come quella della Direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione europea che ha istituito il Food fraud network (Ffn), un gruppo di lavoro composto dagli esperti dei reparti ispettivi dei Paesi dell’Ue nel settore alimentare. Si tratta di un network di punti di contatto molto importante, poiché facilita lo scambio di informazioni tramite i canali previsti dal regolamento europeo 882/2004 che promuove la cooperazione amministrativa tra autorità competenti.
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