Un banco ricco di attrattiva e servizio

di Fabio Massi

Oggi più forte della pescheria, la grande distribuzione organizzata è il canale di vendita preferito per ittici freschi e surgelati.

Un tempo prerogativa esclusiva delle pescherie, oggi i prodotti ittici hanno raggiunto una larga diffusione anche tra i punti vendita della grande distribuzione organizzata. Il reparto dei prodotti surgelati e trasformati continua a destare l’interesse della maggior parte dei consumatori, particolarmente in periodi di congiuntura economica, anche se negli ultimi anni molte insegne della gdo hanno puntato sul banco del pesce fresco come leva di attrattività per la propria clientela, con ampi margini di crescita, soprattutto in termini di servizio. Il settore della pesca è una delle realtà produttive più tradizionali e importanti del sistema agroalimentare del nostro Paese, ma soffre da tempo di una crisi strutturale. Oggi sono circa 30.000 le persone che lavorano nel comparto dei prodotti ittici, mentre l’industria della trasformazione del pesce fattura 2,2 miliardi di euro.

Ogni anno l’Italia deve fare ricorso ai prodotti ittici stranieri, poiché la nostra produzione non è sufficiente al fabbisogno nazionale, anzi il peso sui consumi diminuisce anno dopo anno (siamo circa al 30%), mentre cresce la dipendenza dall’estero. Secondo i dati Istat elaborati da Ismea, infatti, nel 2014 il deficit della bilancia commerciale ittica italiana è peggiorato del 5,9% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un valore di oltre 3,9 miliardi di euro. Lo scorso anno le importazioni sono aumentate del 5,9% a volume e del 6,1% a valore, un incremento che ha riguardato sia i prodotti freschi sia quelli trasformati. L’importatore più rilevante per il nostro Paese è la Spagna, dalla quale proviene quasi un quinto dei pesci e un quarto dei molluschi importati, mentre l’Ecuador è la principale provenienza dei crostacei con il 22% del totale, a seguire ancora la Spagna con il 14,7%. In termini di consumi domestici di pesce – secondo i dati elaborati dal panel famiglie Ismea Gfk-Eurisko – nei primi undici mesi del 2014 si è verificato un incremento sia a volume (+2,1%) sia a valore (+1,8%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Più nel dettaglio, le vendite di pesce fresco sono cresciute dell’1,4% in quantità e dell’1,5% a valore, con i polpi e le sardine che hanno fatto registrare gli aumenti più consistenti (rispettivamente +6,2% e +6,4%), mentre le vongole sono il segmento con la peggiore performance (-6,7%).

Tra i prodotti trasformati, invece, che complessivamente sono cresciuti del 3,1% a volume e del 2,3% a valore, gli sgombri hanno trainato i consumi di conserve e semiconserve con un +6,3%, mentre i baccalà hanno sospinto la categoria del secco, salato e affumicato con un +12,4%. La spesa media mensile delle famiglie italiane per gli acquisti di prodotti ittici – secondo i dati Istat – si aggira sui 41 euro, una quota che è rimasta piuttosto stabile negli ultimi anni. La grande distribuzione organizzata è certamente il canale più importante per le vendite di pesce, in particolare per i prodotti ittici lavorati e semilavorati. Oltre il 65% di pesce fresco è acquistato nei negozi della gdo, mentre soprattutto nelle regioni del Sud il canale specializzato rimane ancora il luogo preferito con circa il 70% degli acquisti. Proprio nelle regioni del Meridione si concentra quasi la metà dei consumi domestici, segue il Centro con un quarto del totale, quindi Nordovest con circa il 20% e il Nordest con meno del 10%.

Vediamo ora come alcuni importanti produttori e fornitori considerano il momento attuale della commercializzazione di prodotti ittici nei punti vendita della gdo e quali sono le principali criticità da migliorare. «La grande distribuzione organizzata – afferma Paolo Gattafoni, amministratore delegato di Dimar – ha favorito il consumo di pesce sulle tavole degli italiani (precedentemente limitato alle pescherie specializzate) affiancando a un assortimento ridotto di pesce fresco il decongelato che, essendo già stato portato a temperatura positiva, perde rapidamente qualità e proprietà organolettiche. Inoltre, casi documentati di frode commerciale dove il pesce decongelato veniva venduto per fresco, senza darne la corretta evidenza, hanno reso più suscettibili i consumatori, i quali hanno scelto di riporre la loro fiducia nella sicurezza del prodotto surgelato».

Quest’ultima tipologia costituisce certamente l’offerta più sicura, poiché buona parte delle specie pescate viene portata in maniera molto rapida a bassissime temperature (inferiori a -20 °C) direttamente a bordo delle navi o entro quattro ore dallo sbarco, preservando completamente i profili nutrizionale e organolettico, con il massimo rispetto della catena del freddo. «Sul prodotto surgelato, inoltre, è possibile effettuare analisi specifiche – continua Gattafoni – in quanto non ci sono i tempi di decadimento del prodotto fresco. Sicuramente la gdo sta risentendo del protrarsi della crisi economica, ma gran parte del potenziale esprimibile da questo comparto può essere sfruttato soltanto tramite la realizzazione di una filiera corta che possa garantire al cliente un pesce veramente fresco e il potenziamento del livello di preparazione e formazione degli addetti nei reparti pescheria di supermercati e ipermercati, sensibilizzandoli sulla corretta gestione dei prodotti e sull’assistenza alla vendita».

Il perdurare della congiuntura economica ha certamente influito sulla diminuzione dei consumi di pesce fresco in Italia a favore di quello surgelato, maggiormente in grado di offrire un elevato valore di servizio – anche se nel 2014, come abbiamo visto in precedenza, si è verificata una lieve crescita – ma non è stata l’unica ragione. Un altro elemento decisivo è riconducibile a una marcata attenzione da parte dei consumatori nella ricerca di qualità e sicurezza dei prodotti alimentari. Oggi grazie a Internet, infatti, le persone sono sempre più informate e consapevoli delle loro scelte commerciali e si orientano spesso verso modelli di consumo maggiormente sostenibili rispetto al passato, optando per prodotti con una filiera corta e certificata. «Quest’anno la nostra azienda – spiega Stefano Bottoli, direttore vendite di Agroittica lombarda – ha avuto, contrariamente al trend diffuso, un’ottima performance riguardante la vendita di pesce fresco sul mercato italiano. E questo nonostante il prezzo della referenza (storione) sia da considerarsi nella fascia alta di mercato. Ritengo che la grande distribuzione dovrebbe ritornare a curare l’aspetto qualitativo della propria proposta, tenendo conto che i consumatori sono sempre più informati e che, quando acquistano, preferiscono comprare “italiano” piuttosto che “greco” o “vietnamita” e che, quando si parla di alimentazione, l’aspetto della tracciabilità acquisisce un’importanza strategica».

Informazioni sulla provenienza dei prodotti ittici e grande trasparenza su ogni passaggio di filiera, quindi, sono elementi fondamentali e dovrebbero essere degli standard consolidati in ogni settore alimentare. Nel comparto dell’ittico sono però soprattutto i prodotti surgelati a fornire maggiori garanzie di tracciabilità, mentre nel fresco la situazione appare un po’ più complicata. A dire il vero, negli ultimi anni diversi regolamenti europei hanno introdotto l’obbligo di riportare tutta una serie di informazioni sui prodotti della pesca e dell’acquacoltura, sia freschi sia congelati, destinati alla vendita diretta al consumatore. Si va dalla denominazione commerciale e scientifica della specie al metodo di produzione o di pesca, dalla zona in cui il prodotto è stato catturato o allevato alla categoria di attrezzi e mezzi utilizzati per la cattura. Se un pesce è stato precedentemente congelato e poi scongelato, inoltre, nella vendita al dettaglio tale passaggio deve essere specificato chiaramente. L’esposizione e la vendita dei prodotti ittici decongelati, poi, dovrebbero avvenire in banchi o spazi separati da quelli in cui si commercializzano i pesci freschi, possibilmente insieme alla chiara indicazione che si tratta di prodotti decongelati, con la data della loro scadenza e con l’avvertimento di non effettuare ulteriori congelamenti.

Tutte queste informazioni devono essere specificate in etichetta, marchio adeguato o contrassegno, e per i prodotti non preimballati su cartelli pubblicitari o poster. I reparti pescheria dei punti vendita della gdo costituiscono oggi un importante spazio commerciale per produttori e fornitori di pesce, alcuni dei quali sono diventati un vero punto di riferimento per la fornitura di prodotti ittici freschi locali. Un aspetto, invece, con ampi margini di miglioramento è quello legato alla comunicazione in store e all’assistenza alla vendita, che spesso non sono sufficientemente sviluppate o, comunque, non all’altezza degli standard nel canale specializzato. «Non c’è dubbio che la gdo – dichiara Marco Gilmozzi, vicepresidente e socio di Coopam – per contrastare cali di vendite e mantenere quote di mercato si stia orientando sempre di più nella vendita di prodotti da banco, dando spesso più enfasi agli aspetti commerciali rispetto a quelli qualitativi. Atteggiamento sicuramente comprensibile in questo periodo storico, anche se non completamente condivisibile. E i consumatori non hanno sufficienti notizie su quello che acquistano.

Quando si parla di pesce, infatti, l’informazione cui le persone aspirano su tutte è quella che riguarda la freschezza, la data di pesca, ma è un dato che non viene mai rilasciato, perché la filiera non sa gestire questa informazione, ha paura dei riflessi commerciali che potrebbe causare. Non ne coglie l’opportunità, è spaventata». Il consumatore moderno difficilmente rinuncia a voler conoscere certe informazioni sui prodotti agroalimentari italiani, compresi quelli ittici che proprio nella tracciabilità hanno uno dei loro principali punti di forza, ma «che molto spesso – continua Gilmozzi – vengono mortificati commercialmente in un mercato che in genere non esalta qualità e freschezza, ma appiattisce spesso le scelte e i confronti che ruotano principalmente su aspetti economici. Facendo a mio avviso un grande errore. In un futuro molto vicino, infatti, ritengo che tutti i prodotti freschi nazionali di pesca e acquacoltura avranno un ruolo primario nel panorama italiano. Di nicchia forse, ma una nicchia che rappresenterà il “punto di riferimento” nel mercato. Alcune grandi aziende della gdo già si muovono in questa direzione. E sono sicuro che per loro i risultati di immagine ed economici non tarderanno ad arrivare».

Nonostante l’Italia sia una penisola con migliaia di chilometri di costa il consumo pro capite di pesce è piuttosto basso e si attesta sui 20 chilogrammi. Per fare un paragone con altre realtà europee, basti pensare che in Spagna si consumano quasi 50 chilogrammi e in Francia circa 35. Le famiglie italiane – stando ai risultati di una recente indagine realizzata da Swg per Lega pesca sulle nuove tendenze nel consumo domestico – continuano a preferire i prodotti pescati in mare, anche se la fiducia nei confronti del pesce d’allevamento risulta in crescita. Tra i prodotti marini di cattura, in cima alle preferenze dei consumatori italiani ci sono tonni, orate, naselli e alici, mentre sono in aumento molluschi, frutti di mare e crostacei. Quasi un terzo delle famiglie, soprattutto al Centro e al Sud, inoltre, conosce e consuma il cosiddetto pesce povero, come l’aguglia, la palamita o il suggello.

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