Il nostro mercato del vino è caratterizzato da dinamiche di segno diverso, fra calo dei consumi interni e crescente propensione all’export.
Quando si parla di vino nel nostro Paese si fa spesso riferimento a due fenomeni che negli ultimi anni stanno caratterizzando questa filiera: il calo dei consumi interni e la propensione delle imprese italiane all’export. In effetti, i dati sono molto chiari e confermano queste due tendenze. Secondo i rilevamenti Istat, nel 2013 le famiglie italiane hanno speso 11,4 euro ogni mese per acquistare vino (-4,8% rispetto al 2012), una cifra che rappresenta circa il 2,5% della spesa alimentare e lo 0,5% di quella complessiva. Era dal 2009 che non si spendeva così poco. Sono poco meno di 28 milioni gli italiani che nel 2013 hanno consumato vino, pari al 51,6% della popolazione, facendo rilevare una contrazione dello 0,3% rispetto al 2012. I bevitori abituali – soprattutto di età avanzata – sono scesi al 20,6% con un calo del 4,2%, ma se si considerano gli ultimi sette anni la contrazione è di quasi sette punti percentuali.
Per quanto riguarda le esportazioni, il 2013 è stato un anno record. Il fatturato complessivo proveniente dalle vendite di vino italiano all’estero – secondo le elaborazioni di Federvini su dati Istat – ha infatti superato per la prima volta i 5 miliardi di euro, con una crescita del 7,3% rispetto al 2012. In termini di quantità, si è andati oltre i 21,5 milioni di ettolitri, con una contrazione del 4,6%. Da sottolineare la brillante performance degli spumanti che hanno fatto registrare un incremento del 13,5% in volume e del 20,1% in valore. Da questi numeri è piuttosto evidente come l’export sia diventato oggi il driver fondamentale di sviluppo per le aziende italiane dell’industria del vino, molte delle quali, però, sembrano aver perso interesse per il mercato nazionale, concentrando maggiormente i propri sforzi sulle piazze internazionali.
Ma davvero il futuro del vino italiano dipende esclusivamente dall’export? «Da anni rimarchiamo questa tendenza del calo dei consumi – dichiara Giampietro Comolli, fondatore e presidente dell’Osservatorio vini spumanti effervescenti (Ovse) – generalizzata in tutti i Paesi grandi produttori, ma con attenzioni, sentiment e politiche differenti, anche frutto di diversi approcci nazionali. È vero che l’impresa agisce in totale libertà, ma l’Italia ha scelto un legame vino-origine-territorio molto frammentato. L’origine è storia e cultura, è far toccare con mano le fucine agli stranieri, è ampliare l’orizzonte vigna. Urge, quindi, ridurne il numero, avere una visione di land-brand integrato, offrire più spazi e occasioni di consumo. Il singolo mercato chiede tipologia, identità, il consumo è soggettivo e privato, il nuovo marketing territoriale è “face to face”, ma nel retail si ha paura di cambiare. Da alcuni sondaggi realizzati da Ovse sono emersi diversi suggerimenti per le imprese in tema di strategie: scelta del target mirato e maggiore contatto con il singolo consumatore, più luoghi di consumo e distribuzione contemporanei, vendita diretta e prossimale con servizi, pubblicità smart e assistenza web proattiva, riduzione dei passaggi di filiera, minore simbologia ed enfasi, comunicazione integrata di distretto, sostegno a progetti sociali e avvisi contro abusi».
Secondo l’esperto, perciò, non sarebbero affatto poche le strade da seguire per cercare di invertire la tendenza negativa dei consumi. Ma cerchiamo di capire più nel dettaglio qual è l’approccio al mercato nazionale di alcuni importanti produttori e quali sono le loro mosse più efficaci per conquistare i consumatori italiani. «Il declino dei consumi di vino nel nostro Paese – afferma Luca Cielo, direttore generale di Cielo e Terra – è costante da molti anni, soprattutto per i vini di utilizzo giornaliero. D’altra parte i volumi aumentano nei Paesi cosiddetti “nuovi consumatori”. Pertanto, le aziende che vogliono adottare una politica di crescita sono obbligate a lavorare duramente in Italia per mantenere le quote di mercato e cercare nuove opportunità all’estero. I dati sulle esportazioni di vino italiano relativi agli ultimi cinque anni confermano la tendenza alla crescita. In un mercato con consumi in contrazione, il nostro obiettivo è quello di trovare i prodotti che maggiormente sappiano soddisfare le esigenze dei consumatori, cercando di coprire sia il segmento dei vini da consumo giornaliero sia quello dei vini per le occasioni speciali. Inoltre, è necessario pensare continuamente a innovare il prodotto nel packaging e nel gusto del consumatore».
Secondo una ricerca realizzata da Unicab per una recente edizione del Vinitaly su un campione di produttori, enologi ed esperti del settore, tra le caratteristiche più importanti per il successo di un vino al primo posto c’è il territorio d’origine, al secondo la qualità intrinseca del prodotto e al terzo, più staccata, la forza del brand. «L’export è sempre stato una parte più che rilevante nel nostro fatturato – spiega Giovanni Negri, direttore marketing di Cavit – e continua naturalmente a essere una priorità assoluta. Assoluta ma non esclusiva. Indispensabile, per mantenere i consumatori e continuare a crescere sul mercato, è sempre garantire la più alta qualità del prodotto assicurando la massima trasparenza commerciale. Poi è importante la territorialità: la nostra linea di vini trentini fa registrare un +20,2% a valore e un +20,6% a volume sul mercato italiano (fonte: Iri Infoscan At ottobre 2014), a dimostrazione del fatto che il legame con il territorio, se sostenuto da un buon marketing mix può rappresentare effettivamente un asset strategico straordinario. Siamo anche molto attenti ad ascoltare e intercettare le tendenze dei mercati. Gli spumanti, ad esempio, stanno dando grandi soddisfazioni a tutti i produttori, noi compresi. Infine, tra gli elementi che definirei “vincenti” della nostra strategia c’è l’ampia e costruttiva collaborazione che instauriamo con i clienti/partner. Lavorando insieme individuiamo le migliori azioni da intraprendere».
Sempre dalla ricerca di Unicab emerge che secondo gli intervistati il vino italiano è penalizzato soprattutto dall’assenza di strategie globali di promozione, dall’eccesso di individualismo dei produttori e dalla loro frammentazione. «Con un consumo interno che nel giro di un decennio ha perso otto milioni di ettolitri – dichiara Bruno Trentini, direttore generale di Cantina di Soave – la spinta a cercare nuovi mercati è stata ed è molto forte. Il mercato estero è una risorsa economica irrinunciabile e ormai, spesso, è diventata una scelta obbligata per molti, anche se l’offerta italiana si presenta in modo ancora troppo frammentario. Per quanto riguarda le vendite nel nostro Paese, è importante studiare continuamente il mercato poiché ci permette di fare un’attenta analisi dei comportamenti delle insegne commerciali da un lato e dei gusti e tendenze del consumatore finale dall’altro. Da qui, ad esempio, la consapevolezza che nonostante la nostra azienda sia fondamentalmente impegnata nella commercializzazione dei prodotti a marchio proprio, essendo, però, prima di tutto produttrice di denominazioni da commercializzare, in futuro dovrà tener conto del canale “discount” che commercializza prevalentemente le cosiddette “private label” e che sta crescendo in maniera sempre più ampia e rapida. Naturalmente alla base non viene mai meno l’impegno di fare sistema con le altre realtà territoriali per garantire la miglior gestione della denominazione».
In tema di canali distributivi, nei punti vendita della gdo – secondo i dati rilevati da Iri – passa il 63% del vino commercializzato nel nostro Paese, per un fatturato che nel 2013 ha superato il miliardo e mezzo di euro (+3,1% rispetto al 2012) a fronte di un calo del 6,5% nelle quantità. Sembrerebbe, perciò, che nei loro acquisti al supermercato i consumatori italiani stiano dimostrando di privilegiare vini di maggiore qualità rispetto al passato, ma lo fanno sempre con un occhio al prezzo. Il 36,1% dei volumi venduti, infatti, è stato acquistato in promozione. «Gli anni difficili che stiamo vivendo hanno cambiato le nostre abitudini ed esigenze – afferma Paolo Togni, amministratore delegato di Togni – la ristorazione classica che soffre notevolmente si porta dietro un calo importante nel consumo di vino. Questa contrazione riguarda tutte le fasce di prezzo, anche se registriamo una discreta tenuta dei vini di alta qualità. In questo nuovo panorama è normale focalizzare ancora di più l’attenzione su mercati esteri emergenti, non dimenticando però che in Italia i consumi si assesteranno e rimarranno vitali per una cantina che punta allo sviluppo. Qualcosa è cambiato e non sarà mai più uguale a prima e quindi dobbiamo prendere atto di questi nuovi processi modificando la nostra offerta differenziandola per i diversi mercati e canali distributivi. Dobbiamo interagire con la distribuzione e con il consumatore sia per i suoi consumi a casa sia per quelli fuori casa, educandolo a valorizzare le differenze attraverso un percorso che si basa sulla qualità, sul giusto rapporto con il prezzo e sulla continuità e costanza produttiva».
Complice la crisi economica degli ultimi anni, il consumatore è sicuramente cambiato. Alcuni sostengono che si è evoluto e conosce meglio il vino e le sue caratteristiche, per altri invece gli italiani prediligono vini poco impegnativi e da bere subito, con un rapporto qualità prezzo piuttosto bilanciato. «Il nuovo profilo di consumatore si sta sempre più caratterizzando per la sua particolare sensibilità e attenzione alle nuove tendenze di consumo internazionale – spiega Domenico Scimone, global sales & marketing director di Carpenè Malvolti – e in modo particolare all’intera offerta del cosiddetto “Italian lifestyle”. Un’azienda di marca che vuole vendere anche all’estero non può prescindere dal mercato di origine, quindi per noi gli investimenti vanno sia in direzione dello sviluppo delle piazze estere sia sul continuo consolidamento e del mercato interno. Sopratutto in Italia cerchiamo di sostenere il presidio commerciale con numerose iniziative in ambito di comunicazione e trade marketing, attraverso una strategia generale sempre più consumer oriented. L’innovativa strategia comunicativa cerca di andar oltre i connotati qualitativi e punta su quelli valoriali, in cui le persone tendono a riconoscersi maggiormente. Da qui, la scelta di incentrare lo stile comunicativo sul legame con il territorio, sulla convivialità, sul sentimento, sulla passione, sull’universalità e sulla continuità temporale. Riteniamo indispensabile, infine, intensificare il contatto e l’interazione diretta con il consumatore finale, per raggiungerlo e interagire laddove insiste la domanda più profilata e matura»…
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