Le strade dell’ortofrutta

di Fabio Massi

Il settore ortofrutticolo presenta caratteristiche peculiari che impongono di trattare con grande delicatezza e attenzione la movimentazione dei prodotti.

La filiera dell’ortofrutta fresca è uno dei segmenti più delicati dell’alimentare, poiché dal campo alla tavola i prodotti devono arrivare non soltanto in perfette condizioni igienico-sanitarie, ma devono anche mantenere quelle caratteristiche organolettiche e nutrizionali che influiscono sulla scelta del consumatore. Il trasporto, la movimentazione e lo stoccaggio della merce ricoprono perciò un ruolo fondamentale per la qualità e la deperibilità dei prodotti ortofrutticoli, più che in altri settori. Se si considerano poi i volumi che caratterizzano questa filiera e la particolare conformazione geografica dell’Italia, questi passaggi possono evidenziare non poche criticità.

Nel 2012 la produzione italiana di ortofrutta fresca, secondo la consueta panoramica realizzata dal Centro servizi ortofrutticoli (Cso) con dati Istat, ha superato i 19 milioni di tonnellate, con una flessione dell’11% rispetto al 2011, un quantitativo che si colloca sui livelli più bassi degli ultimi anni. Più nel dettaglio, la frutta fresca raccolta – che rappresenta circa il 34% del totale ortofrutta – ha raggiunto i 6,3 milioni di tonnellate, facendo registrare il calo più elevato rispetto agli altri aggregati (-15%). La voce principale rimangono le mele, che però fanno segnare il minimo storico con 1,9 milioni di tonnellate (-12%). In calo sono tutte le specie frutticole, soprattutto pere (-33%), albicocche (-31%) e kiwi (-27%). Gli ortaggi freschi, invece, hanno sfiorato i 7,5 milioni di tonnellate segnando un calo del 10% sempre sul 2011. Le orticole a frutto sono il segmento che ha evidenziato le maggiori difficoltà raggiungendo poco più di 3,1 milioni di tonnellate (-15%), con cali consistenti accusati soprattutto da pomodori (-19%), meloni (-17%), cocomeri (-15%), cetrioli (-15%) e zucchine (-15%).

Per quanto riguarda i consumi di ortofrutta, secondo le elaborazioni Cso su dati Gfk Italia, nel 2012 le famiglie italiane hanno acquistato poco più di 8 milioni di tonnellate di prodotti, con un calo del 2% rispetto all’anno precedente. Il comparto frutticolo è quello che ha fatto registrare la maggiore flessione con -2,3%, fino a scendere a livelli mai toccati negli ultimi dieci anni, mentre gli ortaggi hanno contenuto maggiormente le perdite (-1,6%).
La spesa delle famiglie per l’acquisto di ortofrutta nel 2012 è stata di oltre 13,5 miliardi di euro, superiore dell’1% rispetto al 2011: nel dettaglio il comparto frutticolo sale dello 0,2% e gli ortaggi dell’1,6%.
Tra le dinamiche che hanno contribuito al calo dei consumi dei prodotti ortofrutticoli ci può essere l’aumento dei prezzi medi al dettaglio che ha toccato il 3% rispetto al 2011, ma più realisticamente il maggiore responsabile di tale situazione è il perdurare della pesante crisi economica con la conseguente perdita del potere d’acquisto delle famiglie italiane. Anche il trasporto e la movimentazione della merce, però, giocano un ruolo non trascurabile, soprattutto per la conservazione delle migliori caratteristiche dei prodotti.

«La qualità e il prezzo finale – afferma Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti – sono due aspetti fondamentali del mercato dell’ortofrutta. Il sistema distributivo dovrebbe essere finalizzato a veicolare e preservare la massima qualità del prodotto ortofrutticolo, aspetto legato alla soddisfazione organolettica del consumatore e di conseguenza al livello dei consumi. Il calo degli acquisti, infatti, non è figlio solo delle cattive abitudini alimentari o della crisi economica, ma anche della scarsa qualità di prodotti raccolti e commercializzati per soddisfare le esigenze dei distributori in termini di resistenza ai trasporti e durata sullo scaffale. Punti critici sono sicuramente la velocità di trasporto, il mantenimento e, quando necessario, di una catena del freddo adeguata alla tipologia di prodotto. L’altro aspetto critico è il prezzo, da intendersi sia all’origine sia al dettaglio: una logistica troppo frammentata penalizza ulteriormente i produttori, già remunerati in modo insufficiente, e viene ricaricato troppo pesantemente il prezzo finale al consumo, così da ridurre ancora una volta gli stessi acquisti. Non si tratta neppure di un problema legato soltanto ai troppi passaggi di mano, ma piuttosto al loro costo: per assurdo, possono già essere penalizzanti due passaggi se uno dei soggetti coinvolti è troppo “ingordo”. In sostanza, un sistema distributivo, qualunque esso sia, che non riesce a garantire la qualità del prodotto e un prezzo adeguato, a monte e a valle, non svolge un buon servizio a nessun anello della catena».

Inoltre, in ogni città italiana, piccola o grande, operano tutte le forme della vendita al dettaglio, dai supermercati ai piccoli negozi, dai discount agli ipermercati, fino ai mercati rionali e ai banchi dell’ambulantato, con caratteristiche e dinamiche che mutano nel corso degli anni.
La distribuzione dei prodotti ortofrutticoli nei vari canali commerciali, infatti, sta evidenziando da oltre un decennio l’avanzata dei supermercati ai danni soprattutto dei mercati rionali e della vendita ambulante. Se nel 2003 i primi rappresentavano il 26% dei volumi venduti, oggi sono saliti al 35% guadagnando la leadership, mentre i mercati rionali hanno compiuto un percorso inverso passando dal 36% di dieci anni fa al 23% attuale. Raggruppando i diversi canali che costituiscono la distribuzione moderna (iper, super, discount e piccole superfici), la crescita negli ultimi dieci anni appare costante e ancora più netta: nel 2003 rappresentavano il 41%, nel 2007 superavano il 51% e nel 2012 hanno raggiunto il 57%.

Operazioni come l’organizzazione e l’ottimizzazione dei carichi con una o più destinazioni per prodotti provenienti da fornitori diversi o la separazione e la successiva riorganizzazione della merce in più punti di destinazione assumono grande importanza in un Paese in cui ci sono circa 255.000 punti vendita alimentari.
«Il comparto ortofrutticolo italiano – dichiara Monica Artosi, direttore generale di Cpr System – è ancora oggi caratterizzato da una forte frammentazione sia sul versante della produzione sia su quello della vendita al consumatore finale e questa parcellizzazione è uno dei principali fattori limitanti per lo sviluppo di un sistema logistico coordinato ed efficiente. Oggi in Italia il dettaglio tradizionale rappresenta ancora una quota che, pur se in calo, raggiunge il 45-50% del totale degli acquisti ed è in questo ambito che risiedono le maggiori inefficienze dovute sia alla frammentazione della domanda e dell’offerta sia alla consistenza numerica e alla tipologia degli intermediari.

Più operativamente – riferisce Lorenzo Soriani, responsabile commerciale di Cpr System – nel processo logistico distributivo dell’ortofrutta si seguono catene logistiche non ottimizzate con una media di più di quattro passaggi/operatori per fornitura. Mancano inoltre le piattaforme logistiche capaci di offrire contestualmente servizi di ottimizzazione dei flussi di trasporto e di logistica a valore aggiunto; attraverso tali piattaforme sarebbe possibile razionalizzare i flussi con operazioni di groupage e degroupage, fornire ulteriori servizi come quello di magazzinaggio e dell’utilizzo di asset standardizzati di unità di carico (cassette plastica riutilizzabili, pallet ecc.) e un’altra serie di servizi come la gestione della catena del freddo o della qualità e degli standard igienico-sanitari. Infine, una corretta localizzazione della piattaforma con le necessarie dotazioni consentirebbe di stimolare il trasporto intermodale o combinato, con evidenti benefici per la circolazione e per l’ambiente».

A incidere oggi in maniera negativa sulla viabilità stradale soprattutto nei pressi dei grandi centri cittadini, e quindi anche sull’ecosistema, è anche la insufficiente standardizzazione dei formati degli imballaggi a perdere, che genera diverse inefficienze: in fase di riempimento dei camion, infatti, la composizione dei carichi non ottimale causa la circolazione di un numero maggiore di mezzi, oltre ovviamente alla questione legata allo smaltimento dei rifiuti generato dal packaging a perdere. «L’introduzione nel mondo della grande distribuzione di imballaggi standardizzati – afferma Angelo Palma, direttore commerciale di Conor – ha sicuramente favorito le performance di movimentazione all’interno dei magazzini ortofrutticoli. Tuttavia tale utilizzo non si è esteso, a parte timidi e costosi tentativi, al restante mercato. Tempi lunghi e incerti di attesa presso i magazzini della gdo, inoltre, uniti alla contraddittoria applicazione di fasce orarie molto rigide per gli scarichi, comportano da parte dei fornitori di trasporto una certa cautela nel proporre tariffe che devono tenere conto di soste prolungate e problematiche relative al superamento delle ore di guida consentite. Mentre in altri settori merceologici si stanno popolando banche dati di scambio domanda-offerta per i servizi di trasporto, questo non avviene per i prodotti ortofrutticoli. Chi ha necessità di spedire merce, al di là della distribuzione quotidiana, non riesce a reperire informazioni in modo sistematico su tratte e trasportatori. Ci si affida ancora a conoscenze e passaparola, lasciandosi probabilmente sfuggire opportunità sia per i produttori/distributori sia per le aziende di trasporto. L’anzianità dei mezzi circolanti, inoltre, non permette di ottimizzare i carichi trasportando prodotti che necessitano di diverse temperature di conservazione, aggravando ancor più l’incidenza del costo di trasporto».

Proprio il corretto mantenimento della catena del freddo in tutti i passaggi della filiera, fino all’interno del punto vendita, è indispensabile per preservare le caratteristiche dei prodotti ortofrutticoli, un aspetto che diventa ancora più complicato da garantire quando l’ortofrutta viene da lontano, magari via mare. «La nostra prospettiva si limita nella maggior parte dei casi al trasporto porto-porto – afferma Paul Valery Spallino, trade and sale manager di Seago line – e per la nostra natura ottimista tendiamo a concentrarci maggiormente sulle opportunità che le compagnie di navigazione hanno creato: la presenza di nuovi servizi marittimi ha radicalmente influenzato il mercato negli ultimi decenni, creando nuove origini per l’approvvigionamento e nuovi bacini di domanda per i produttori. Inoltre il continuo processo di “containerizzazione” dei traffici ha permesso una globalizzazione del “fresco” a costi limitati. Un buon esempio è dato dai “green corridor” Egitto-Adriatico e Israele-Adriatico, dove la presenza di servizi marittimi che offrono transit time di circa tre giorni permette ai prodotti ortofrutticoli egiziani e israeliani, che anticipano di qualche mese i nostri raccolti, di essere venduti sui mercati dell’Europa continentale. Ovviamente in questo contesto la regolarità e l’affidabilità dei servizi marittimi diventa chiave per tutta la filiera, un ritardo navale significa non trovare la merce al supermercato. Bisogna comunque considerare che finché si va per mare, alcuni rischi, soprattutto meteorologici, sono inevitabili»…

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