di Fabio Massi
Stabili le vendite dei quotidiani, bene quelle della free press e dei periodici, mentre la pubblicità sta pesando sempre meno sui fatturati. La fotografia della Fieg sull’industria della stampa in Italia.
Il recente studio sulla carta stampata italiana realizzato dall’Ufficio studi della Federazione italiana editori giornali (Fieg) traccia un bilancio di questo settore dell’editoria negli anni 2002-2005, mettendo sotto la lente di ingrandimento sia l’industria dei quotidiani sia quella dei periodici. Per ciò che concerne la stampa quotidiana, le rilevazioni effettuate dalla ricerca prendono in esame 71 testate su un totale – secondo l’ultimo rapporto relativo al 2004 dell’Osservatorio tecnico di Asig Service – di 206, ma rappresentano in termini di diffusione il 93% dell’intero comparto e, allo stesso tempo, veicolano il 90% del budget pubblicitario di tutti i quotidiani. Nell’ultimo triennio, nonostante la permanenza nel Paese di una congiuntura economica non favorevole, c’è stata una lieve crescita dei livelli di vendita e si è passati da una media giornaliera di 5,71 milioni di copie nel 2003 a 5,74 milioni nel 2004 (+0,6%), fino ai 5,73 milioni dello scorso anno (-0,1%), a fronte di una flessione delle tirature che da poco più di 8 milioni di copie sono scese a 7,83 milioni. Questa tendenza è confermata dalle buone performance fatte registrare dalle 59 imprese editrici di quotidiani oggetto dello studio, i cui bilanci aggregati hanno raggiunto nel 2004 un risultato netto complessivo positivo di 327,8 milioni di euro.
Si è trattato, in termini relativi, di un incremento piuttosto ampio (+24,8%) rispetto al 2003, dovuto soprattutto all’onda lunga delle iniziative di vendite abbinate di quotidiani e altri prodotti, non solo editoriali. Infatti, se i ricavi derivanti da attività tipiche hanno subito nel 2004 una leggera flessione dello 0,2%, quelli provenienti da altre voci editoriali – nei quali è probabile che siano confluiti flussi di entrata originati da iniziative collaterali – sono cresciuti più del 212%, facendo sì che il totale dei ricavi operativi editoriali sfiorasse i 3,5 miliardi di euro, con un +4,1% rispetto all’anno precedente. La stessa percentuale di crescita è stimata per il 2005 grazie soprattutto all’aumento – intorno al 4-5% – del prezzo di vendita al pubblico di circa il 60% delle testate quotidiane, che ha in parte mitigato la riduzione dei ricavi derivanti dalle vendite dei prodotti collaterali in fase di stagnazione. Per ciò che riguarda i costi operativi, che nel 2002 erano diminuiti dello 0,6%, dal 2003 al 2005 sono invece costantemente aumentati del 4,1, del 5,4 e del 5,9%, determinando una riduzione del margine operativo lordo (Mol) di sei punti percentuali dal 2003 al 2004 e di ben 11,3 punti dal 2004 al 2005. Se il Mol nel 2003 rappresentava l’11,4% del fatturato, l’anno successivo è sceso al 10,3%, proseguendo tale flessione nel 2005 attestandosi sull’8,7%, in quanto – come abbiamo visto in precedenza – si è accentuata la tendenza dei costi operativi ad aumentare a un ritmo più sostenuto dei ricavi.
Entrando più nel dettaglio dei costi operativi, possiamo dividere queste spese in tre voci principali: materie prime, lavoro e servizi. Le spese per gli acquisti della carta, che rappresentano di gran lunga l’uscita principale per le materie prime, sono aumentate del 2,7% nel 2004 superando i 503,2 milioni di euro, e di un altro 5% nel 2005, per un peso relativo sul totale dei costi operativi che si aggira intorno al 16%. Il tasso di crescita del costo del lavoro dipendente, invece, nell’ultimo biennio è stato relativamente contenuto (+2,6% nel 2004 e +3,5% nel 2005) e in leggera decelerazione rispetto al 2003 (+3,9%), anche perché in quell’anno il numero complessivo dei dipendenti nelle imprese editrici di quotidiani in oggetto era aumentato di 120 unità (+1,4%) per poi scendere in seguito. Fatto sta che il costo del lavoro nel 2005, pari a poco più di 964 milioni di euro, rappresentava il 29% del totale delle spese operative, una incidenza che è in fase di contrazione visto che nel biennio precedente era passata dal 30,5 al 29,7%. Al contrario, risultano in continua crescita i costi per la produzione di servizi che nel 2004 hanno superato i 1.350 milioni di euro (+7,4%), con un ulteriore incremento nel 2005 di circa 94,5 milioni (+7%).
La maggior parte di queste spese è costituita da prestazioni lavorative trasferite a soggetti esterni alle aziende editrici (soprattutto costi relativi alla composizione e alla stampa) e il crescente ricorso all’outsourcing ha determinato un aumento del peso di tale voce sui costi operativi dal 42,2% del 2003 al 43% del 2004, fino al 43,5% del 2005. Nel 2004, tra le 59 imprese editrici di quotidiani i cui bilanci sono stati analizzati dallo studio di Fieg 40 risultano essere in utile, mentre 19 sono in perdita. Si tratta di una tendenza positiva in quanto nel biennio precedente la forbice era meno marcata: 33 a 24 nel 2002, 38 a 20 nel 2003. Complessivamente gli utili, tra il 2003 e il 2004, sono cresciuti in maniera considerevole da 264,6 a 345,8 milioni di euro, mentre le perdite si sono più che dimezzate passando da 39,1 a 17,9 milioni di euro, anche se il numero delle imprese con assetti economico-produttivi deboli e squilibrati è ancora alto. È interessante ricavare qualche significativa indicazione sui principali gruppi editoriali attraverso l’analisi dei risultati della consueta indagine annuale di Mediobanca (2005) sui dati cumulativi di 2.007 società industriali italiane, 15 delle quali appartengono appunto al settore editoriale.
Queste nel 2004 hanno aumentato il loro fatturato del 2,3% (da 7,1 a 7,3 miliardi di euro), una percentuale leggermente inferiore rispetto a quella fatta registrare nel 2003 (+3,8%), ma con rilevanti disparità tra singole imprese: si va dalle performance più virtuose come quelle di Cairo Communication (+21,4%), Edizioni Condé Nast (+12,1%), Società Europea Edizioni (+7,7%), A. Mondadori Editore (+7,5%) e Caltagirone Editore (+7,2%) a quelle meno brillanti come nel caso di Hachette Rusconi (-9,3%), Periodici San Paolo (-4,3%), De Agostini Editore (-3,2%) e Il Sole-24 Ore (-1,8%). Secondo lo studio di Fieg, la stampa periodica potrebbe essere il segmento che più beneficerebbe da una ripresa della fase economica del Paese maggiormente incisiva, in quanto già nel 2004, a fronte della stagnazione della domanda interna, i migliori risultati in termini di diffusione sono stati realizzati proprio dai periodici. Dalle rilevazioni condotte da Tradelab emerge una tendenza delle copie vendute votata alla crescita sia per i settimanali sia per i mensili: i primi dal 2002 al 2003 hanno incrementato le vendite dell’1,4%, passando da circa 16,9 a poco più di 17,1 milioni di copie e superando nel 2004 i 17,3 milioni (+1,1%), mentre i secondi dagli oltre 21,7 milioni del 2002 sono cresciuti fino a 22,8 milioni nel 2003 (+4,9%), raggiungendo addirittura i 24,3 milioni nel 2004, con un balzo in avanti del 6,5%. Questi risultati, secondo le stime, dovrebbero essere confermati anche per il 2005, con un ulteriore miglioramento per i settimanali del 2% e con il numero di copie vendute che dovrebbe essere di poco inferiore ai 17,7 milioni, mentre la domanda per i mensili dovrebbe crescere con meno vigore rispetto all’ultimo triennio (+1,5%) attestandosi sopra i 24,6 milioni di copie.
Entrando più nel dettaglio della diffusione della stampa periodica è interessante notare che dai dati concernenti le copie medie di circa 65 testate settimanali rilevate da Accertamenti Diffusione Stampa (Ads) per tipologia di contenuti il segmento maggiormente responsabile del buon andamento fatto registrare dal settore dei settimanali nel 2004 è quello dei periodici di attualità (+32,8%) che incide per più di un terzo sulle copie complessive diffuse. Anche le testate economiche (+56,8%), quelle per i giovani (+22,1%) e quelle dedicate a computer e Internet (+9,9%) hanno migliorato i propri numeri, ma il loro peso relativo risulta ancora limitato e non supera complessivamente il 4% delle vendite dei settimanali. In forte contrazione, invece, i segmenti Tv (-18,8%), salute (-18,2%), informazione (-9,2%) e le testate specializzate (-5,8%), mentre i settimanali femminili, pur subendo una diminuzione dell’1,2%, mantengono una notevole incidenza sul totale (21,1%). Passando ai mensili, dai dati relativi alle copie medie di un campione di circa 155 testate rilevate da Ads emerge che il 2004 è stato un anno positivo per la diffusione di diverse tipologie di riviste, le più vendute delle quali sono risultate quelle femminili (+5,9%) e quelle che si occupano di motori (+3%), che insieme rappresentano poco meno di un terzo del totale.
Da notare l’eccellente avanzamento dei mensili per i giovani che, seppure costituiscono appena il 4% della diffusione complessiva, hanno più che raddoppiato il venduto (+122,2%). Buone affermazioni anche da parte delle testate per i bambini (+65,6%), quelle specializzate (+38,9%), quelle astrologiche (+28,8%), quelle maschili (+22,6%), quelle dedicate a scienza e ambiente (+21%) e ai computer (+16,8%), mentre tra i mensili con andamento negativo spiccano quelli incentrati sugli animali (-37,1%), sulla gastronomia (-25,5%), su cinema e spettacolo (-23,3%) e sulla moda (-16,9%). Le performance della stampa periodica assumono una valenza ancora più positiva se si considerano i problemi strutturali che caratterizzano il circuito distributivo, il quale oggi, come in passato, palesa gravi inefficienze ostacolando non poco lo sviluppo dell’offerta. Una testimonianza inequivocabile di tale difficoltà viene dai dati delle rese il cui livello è costantemente in aumento. Per ciò che concerne i settimanali la percentuale delle rese sulle copie distribuite è passata dal 34% del 2002 al 34,9% del 2003, fino al 36,4% nel 2004, anno in cui ogni settimana su un totale di 27,2 milioni di copie consegnate ai punti vendita circa 9,9 milioni sono tornate all’editore, quasi 515 milioni in dodici mesi. Per i mensili, invece, i numeri sono ancora più preoccupanti: dal 49,1% del 2002 si è verificata una leggera inversione di tendenza nel 2003 scendendo al 48,1%, per poi risalire bruscamente nel 2004 fino al 50,7%; in pratica su 49,3 milioni di copie distribuite ogni mese sono state più di 25 milioni quelle rimaste invendute, circa 300 milioni in tutto l’anno.
Un fattore che caratterizza la stampa periodica italiana rispetto a quella di molti altri Paesi dalle economie più avanzate è la scarsa incidenza degli abbonamenti sulle vendite. Secondo un’elaborazione di Fieg su 50 testate periodiche nazionali, nel 2003 le vendite in abbonamento del campione rappresentavano il 28% del totale, scese al 22% l’anno successivo e risalite lievemente al 23% nel 2005. In altri Paesi, invece, questo canale di commercializzazione è prevalente rispetto alle edicole e le percentuali di abbonamenti sono largamente al di sopra dei livelli italiani: 99% negli Stati Uniti, 88% in Finlandia, 81% in Svezia, 80% in Austria, 67% in Canada, 60% in Olanda, 48% in Germania, 40% in Francia. Le uniche eccezioni sono rappresentate da Gran Bretagna e Spagna con percentuali inferiori a quella italiana, rispettivamente 13 e 8%. La quota degli abbonamenti sulle vendite totali dei quotidiani italiani è ancora meno incisiva e nel 2004 si è attestata sul 9%. Come appare chiaro dai dati forniti da World Association of Newspapers (Wan), si tratta di un livello molto basso sul piano europeo se si pensa che vi sono Paesi come Olanda, Svizzera, Finlandia, Islanda, Danimarca, Lussemburgo, Norvegia, Svezia in cui le consegne in abbonamento variano tra il 72 e il 90%, mentre laddove questa forma di vendita è meno diffusa le percentuali sono di gran lunga superiori al dato italiano: Germania 65%, Lettonia 61%, Belgio 46%, Francia 52% per i regionali e 25% per i nazionali. Soltanto la Grecia si trova in una situazione molto più arretrata (3%), mentre la Spagna, che fino a tre anni fa era sui livelli italiani, ha triplicato le vendite in abbonamento raggiungendo il 21%. A livello mondiale, infine, da segnalare l’eccellenza del Giappone dove il 94% dei quotidiani è veicolato nelle case dei lettori…
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