di Fabio Massi
Guardati con relativo sospetto da parte degli automobilisti, i pneumatici ricostruiti sono invece un’ottima opportunità per l’ambiente e nell’ottica del risparmio personale. Il libro bianco dell’associazione di categoria analizza ogni aspetto di questo settore.
Risparmio di materie prime e di risorse economiche, qualità del prodotto, sicurezza delle prestazioni, riduzione dei rifiuti, contributo alla tutela dell’ambiente. Questi i punti di forza dell’industria dei pneumatici ricostruiti, un settore che negli ultimi anni ha raggiunto importanti risultati in termini di visibilità, credibilità e autorevolezza, ma che non ha ancora assunto appieno un ruolo centrale nell’ambito delle politiche nazionali e comunitarie di compatibilità economico-ambientale nel campo della mobilità. Inoltre, il pneumatico ricostruito, nonostante gli indubbi vantaggi citati in precedenza, soffre ancora di un significativo pregiudizio da parte di molti automobilisti che non lo ritengono all’altezza del prodotto nuovo, soprattutto in performance e affidabilità.
Per sensibilizzare gli utilizzatori e tutti gli operatori dell’industria dell’automotive a una maggiore presa di coscienza verso il riutilizzo e il reimpiego dei pneumatici, ma soprattutto il legislatore nazionale affinché traduca in concreto alcuni impegni rimasti per ora sulla carta, l’Associazione italiana ricostruttori pneumatici (Airp) ha recentemente presentato alla Camera dei deputati il secondo libro bianco sul ricostruito, una pubblicazione che ripercorre i risultati ottenuti dal settore negli ultimi anni, analizza l’attuale situazione e delinea gli obiettivi futuri, oltre a fornire una panoramica su tutti i principali documenti e regolamenti finora prodotti dai vari attori legislativi. Il pneumatico è un prodotto che svolge un ruolo fondamentale nell’ambito della sicurezza stradale fino a quando i pochi millimetri di gomma del battistrada non si consumano; giunge allora il momento di cambiare e di affidarsi a un pneumatico integro, non necessariamente nuovo. Ciò che si usura, infatti, rappresenta soltanto il 20% del prodotto, mentre la carcassa (80%) se conserva integre le sue caratteristiche strutturali – in seguito a un attento processo di selezione – può essere coinvolta nella realizzazione di un pneumatico ricostruito. Attraverso un processo di lavorazione che si avvale di macchinari ad alta tecnologia e che prevede l’impiego di materiale nuovo, dalle caratteristiche del tutto simili all’originale, il pneumatico viene rigorosamente sottoposto a severi controlli finali e acquisisce una seconda vita, durante la quale è in grado di garantire la completa affidabilità e sicurezza, esattamente come un prodotto nuovo ma con un evidente risparmio in termini economici, ecologici e di consumo di materie prime.
La fabbricazione di un pneumatico nuovo, infatti, prevede un processo industriale estremamente complesso attraverso il quale vengono assemblate e vulcanizzate circa 200 materie prime, la cui proporzione nel caso di un prodotto per autovettura dal peso di 7 kg è 48% gomma naturale e sintetica, 23% nerofumo, 18% acciaio, 8% prodotti chimici diversi, 3% fibra tessile; l’intero ciclo produttivo richiede l’impiego di circa 27 litri di petrolio, mentre per un pneumatico industriale dal peso di 60-70 kg ne sono necessari 100. «Per dare nuova vita ai pneumatici – spiega Massimo Antonucci, sales manager del ricostruttore toscano Sirpa – occorrono: esperienza, professione, tecnologia e serietà. La nostra azienda si occupa di ricostruzione da oltre 50 anni: vettura per il trasporto leggero e autocarro prima, solo autocarro e trasporto leggero poi. Proponiamo un solo tipo di ricostruzione in prestampato privilegiando un anello senza giunte quale alternativa alla fascia battistrada con giunta. Si tratta di processi innovativi che equiparano il ricostruito al miglior nuovo in termini di sicurezza con l’indiscutibile vantaggio economico per il cliente, un’attività che ci ha consentito negli ultimi cinque anni un tasso di crescita medio del 7%, superiore a quello del mercato. In un prossimo futuro saranno richieste certificazioni indispensabili a far acquistare credibilità al prodotto ricostruito, nel frattempo l’asfittica concorrenza di prodotti nuovi (quasi sempre di dubbia qualità) provenienti per lo più da Paesi asiatici non favorisce lo sviluppo e in certi casi ne accelera la crisi. Il pneumatico ricostruito da autovettura è stata la prima vittima; al momento reggono i settori 4×4, autocarro, trasporto leggero e movimento terra».
Secondo i dati Airp, il 2004 è stato un anno positivo per l’industria dei ricostruttori, in cui si è verificata una netta ripresa nel bilancio economico ed ecologico dopo un biennio meno brillante. Lo scorso anno l’attività del ricostruito ha evitato l’impiego di 48.500 tonnellate di materie prime contro le 46.300 del 2003, le 47.700 del 2002 e le 48.650 del 2001. Il risparmio di petrolio, invece, è quantificabile in 170 milioni di litri, 8 milioni in più dell’anno precedente e 3 in più rispetto sia al 2002 sia al 2001. I pneumatici usati non immessi nell’ambiente nel 2004 sono stati 48.600, quasi 1.000 in più rispetto al 2003 ma nettamente meno del biennio 2001-2002. In compenso, lo scorso anno si è verificato il record del risparmio economico per gli utilizzatori finali: 288 milioni di euro (+22 rispetto al 2003, +13 al 2002 e +14 al 2001). «Quello della ricostruzione dei pneumatici – afferma Stefano Carloni, presidente di Airp – è un settore strategico per una società che mira alla tutela dell’ambiente e al rilancio dell’economia. Si tratta, inoltre, di un’attività non completamente automatizzabile e richiede in tutte le sua fasi l’impiego di manodopera, perciò rappresenta un’occasione importante per contribuire a dare slancio all’occupazione italiana, soprattutto in un momento in cui ferve il dibattito sulla difesa delle produzioni nostrane di qualità nei confronti di quelle dei Paesi a basso costo di lavoro; la ricostruibilità, quindi, può anche essere un ulteriore elemento di differenziazione e di riaffermazione del prodotto di valore. Non dimentichiamoci che se un tempo eravamo leader in questo settore oggi ci hanno ampiamente sorpassato non nazioni del terzo mondo, ma gli Stati Uniti, la patria del consumismo, in cui grazie a manovre come l’esenzione, per il ricostruito, dalla tassa sullo smaltimento ben oltre il 50% dei pneumatici per autocarro viene ricoperto».
L’Italia è all’avanguardia nella produzione e nell’utilizzo di tecnologie di ricostruzione dei pneumatici, grazie alle quali colloca una quota rilevante dei suoi prodotti sui mercati esteri. Nel settore dei ricostruiti per autovetture nel corso degli anni si è verificata una graduale contrazione della domanda, mentre il comparto delle coperture per veicoli commerciali industriali e per aerei è rimasto su ottimi livelli. Nel 2004 sono stati venduti 480.000 pneumatici ricostruiti per autovettura, che rappresentano il 2,1% del totale ricambio in quel comparto. Il trasporto leggero, invece, ha registrato vendite per 300.000 unità (14,7% del totale), mentre quelle per autocarri e autobus sono state 820.000, cioè il 35,4% del totale. Durante l’ultimo triennio il volume complessivo delle vendite di pneumatici ricostruiti (autovettura, 4×4, autocarro e autobus, esclusi i comparti agricoltura, movimento terra, carrello industriale) è stato costante e si è attestato sui 120 milioni di euro. Nel 2003 sono stati prodotti più di 2,7 milioni di pneumatici ricostruiti, di cui il 26% è stato destinato all’esportazione, con un saldo attivo della bilancia commerciale di 22 milioni di euro. Sempre nello stesso anno, tuttavia, nel nostro Paese sono stati collocati ben 30 milioni di pneumatici nuovi, a dimostrazione da una parte dello squilibrio che permane tra le due tipologie di prodotto, dall’altra dall’enorme spazio di mercato che il ricostruito potrebbe ancora conquistare, soprattutto nel settore delle autovetture.
Gli automobilisti, infatti, sono tra i più restii a utilizzare prodotti usati per il proprio veicolo forse a causa di un retaggio consumistico ereditato da periodi di forte crescita economica o di una carenza di comunicazione della stessa industria dei ricostruttori, i cui maggiori clienti sono nel campo del trasporto pesante e in quello aereo, quest’ultimo il più attento in assoluto alle norme di sicurezza. «Cinquant’anni di esperienza ai massimi livelli nel settore – afferma Brenno Benaglia, direttore commerciale e marketing di Marangoni pneumatici, leader nel mercato italiano e co-leader a livello europeo con un fatturato annuo di circa 300 milioni di euro – portano oggi la nostra azienda a sottoporre tutto il processo produttivo a rigorosi controlli qualitativi. La selezione delle carcasse da ricostruire viene effettuata, infatti, con i mezzi più sofisticati e d’avanguardia, quali la shearographia, capace di valutare lo stato della carcassa e di individuarne eventuali danni altrimenti invisibili a occhio nudo o con i metodi tradizionali di selezione. Queste operazioni di controllo sono valse ai nostri pneumatici ricostruiti una serie di importanti riconoscimenti come la certificazione di prodotto da parte del Tüv Hannover Kti e la certificazione Uni En Iso 9001:2000 del sistema di qualità aziendale. A queste si sono aggiunte le recenti omologazioni Ece Onu 108 e 109, che sono l’espressione finale delle severe prove alle quali i nostri prodotti sono stati sottoposti, nonché soprattutto un’importante garanzia per tutti gli utenti. Partendo dai macchinari per l’industria del pneumatico e dalla produzione di pneumatici per autovetture e veicoli pesanti, proseguendo con la loro ricostruzione, la nostra azienda chiude il ciclo di vita del pneumatico creando energia attraverso la termovalorizzazione delle gomme fuori uso grazie a una tecnologia sviluppata e perfezionata al suo interno».
Nonostante l’industria del ricostruito sia attiva da più di mezzo secolo, soltanto nell’ultimo decennio, in concomitanza con politiche sempre più attente alla salvaguardia dell’ambiente e al risparmio delle risorse non rinnovabili, si sono compiuti passi importanti verso lo sviluppo del settore, il primo dei quali è la definizione delle prescrizioni per la ricostruzione e la marcatura dei pneumatici ricostruiti impiegati per l’equipaggiamento dei veicoli stradali mediante la norma italiana Uni 9950 del 1996. Due anni più tardi la Commissione economica per l’Europa delle nazioni unite (Unece) ha emanato i regolamenti Ece Onu 108 (pneumatici per autovetture) e 109 (pneumatici per veicoli commerciali) che impongono ai prodotti ricostruiti ulteriori regole tecniche di produzione, l’obbligo di una omologazione da parte di un ente certificatore che tenga conto delle tecnologie utilizzate, dei controlli e dei sistemi di qualità adottati, oltre al superamento delle medesime prove di carico e di velocità previste per i pneumatici nuovi. Nel 2001 il Consiglio europeo ha adottato le due norme annunciando l’intenzione di renderle obbligatorie per tutti gli Stati membri attraverso l’emanazione di una direttiva comunitaria per regolamentare l’intera materia. A causa delle lungaggini burocratiche, tuttavia, l’Ue non ha ancora legiferato e molti Paesi, allora, come Spagna, Francia, Polonia e Slovenia, hanno già provveduto a rendere obbligatorie le due omologazioni. Il governo italiano, seppur sollecitato più volte dall’Airp, non ha ritenuto idoneo recepire autonomamente i regolamenti, con il risultato che gran parte dei ricostruttori ha deciso volontariamente di mettersi al passo con molti dei colleghi europei rispettando le omologazioni Ece Onu 108 e 109.
«Oltre agli indubbi vantaggi in termini di tutela dell’ambiente, di minor utilizzo di greggio e materie prime con una conseguente riduzione del consumo di risorse economiche – afferma Daniele Graci, amministratore di Comvar ricostruzione gomme, specializzata nel ricostruito per autocarri – le aziende ricostruttrici di pneumatici possono svolgere un ruolo importante anche per sostenere un’economia nazionale che si trova in una fase di difficoltà. Il nostro settore, tuttavia, diversamente da altri Paesi europei come Spagna e Francia, non può contare su regole valevoli per tutti e sta a ciascuna azienda dotarsi di norme fondamentali (con conseguenze negative a livello d’immagine) quali le certificazioni Uni En Iso 9001:2000 ed Ece Onu, con cui la nostra azienda è omologata da diversi anni. Una situazione messa a dura prova anche dalla concorrenza di sottomarche e di pneumatici di 3a e 4a fila. La politica italiana potrebbe supportare il comparto con misure ad hoc come l’abbassamento dell’aliquota Iva, una proposta già presentata in passato». Un altro significativo passo avanti nel riconoscimento del ruolo dei ricostruttori è stato segnato dal Consiglio e dal Parlamento europeo con la direttiva 2000/53/Ce del 18 settembre 2000 – nota come direttiva “End of Life Vehicles” (Elv) – che delinea alcuni principi fondamentali per la salvaguardia dell’ambiente, concentrandosi soprattutto sulla progettazione dei veicoli e dei componenti in vista della loro demolizione, reimpiego, riciclaggio e recupero, ma anche sullo sviluppo del mercato dei materiali riciclati, sui diversi sistemi di raccolta dei veicoli e dei componenti fuori uso, sulla salvaguardia della concorrenza tra le imprese del settore.
La direttiva, recepita nel nostro Paese con il decreto legislativo n. 209 del 24 giugno 2003, sancisce un imperativo basilare per le case automobilistiche: entro il 1° gennaio 2006 almeno l’80% in peso medio dei componenti di un’autovettura deve essere reimpiegato o riciclato (l’85% a partire dal 2015), perciò la progettazione automobilistica ha l’obbligo di operare con una lungimiranza maggiore.
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