All’inizio fu la Yoshimoto poi, anche in Italia, è scoppiata la “giapponemania”. Non solo manga, letteratura, mostre d’arte e cinema, ma anche architettura: da Milano a Napoli oggi si costruisce in “Tokyo style”.
Una terra esotica, lontana, sconosciuta. Un popolo misterioso, alta tecnologia, pesce crudo, fumetti e cartoni animati, samurai e kamikaze, cortesia e tanti inchini. Questo, fino a pochi anni fa, era tutto quello che si conosceva del Giappone. E una stampa frettolosa non aiutava certo ad andare oltre gli stereotipi. Nell’ultimo decennio, tuttavia, grazie agli intensi scambi culturali e commerciali tra Italia e Giappone, e a una comunicazione globalizzata come quella odierna che tutto accelera e consuma in brevissimo tempo, ecco che dal Sol Levante ci arrivano vagonate di tendenze, mode, stili di vita, gusti, elementi estetici. Qualcuno, forse esagerando, parla di “giapponemania”, ma è indiscutibile che in Italia sia in atto una “scoperta” – spesso dettata dalla moda – di numerosi aspetti della cultura nipponica.
Un caso eclatante è rappresentato dal successo che negli ultimi anni sta avendo la cucina di quella nazione, con un’incredibile proliferazione dei cosiddetti sushi-bar. Infatti, se qualche anno fa la ristorazione giapponese, nel nostro Paese così come in tutto il mondo, era soprattutto appannaggio di pochi grandi ristoranti di lusso, con cuochi e personale proveniente direttamente dall’arcipelago nipponico, nei quali si potevano gustare piatti raffinati di ottima qualità ma a un prezzo molto alto, ultimamente si è diffusa la moda dei sushi-bar, locali di grande tendenza, dall’arredamento essenziale, con un rapporto qualità/prezzo più contenuto. In questi piccoli ristoranti, il cui numero è in continuo aumento in tutte le maggiori città italiane (solo a Milano se ne contano a decine), si consumano pasti abbastanza veloci: tra porzioni di sushi, tempura e sashimi preparate quasi sempre davanti ai vostri occhi – il cuoco è una delle attrazioni del locale – potete stare in compagnia, mettervi in mostra e sentirvi soprattutto alla moda.
Un successo dal sapore completamente diverso, specialmente in un Paese come il nostro in cui si legge poco, è quello degli scrittori contemporanei giapponesi, perlopiù giovani donne. Alcune case editrici come Marsilio e Feltrinelli hanno da tempo dedicato proprie collane alla letteratura nipponica pubblicando i grandi autori del ‘900, da Tanizaki a Kawabata, da Akutagawa a Mishima, ma i lettori (soprattutto giovani) hanno dimostrato di avere maggiore interesse per le nuove generazioni di “penne” giapponesi, capaci di raccontare storie di un realismo più facilmente riconoscibile e con un linguaggio più asciutto, efficace e diretto. Banana Yoshimoto è sicuramente la capostipite di queste nuove leve di autrici giapponesi molto apprezzate in Italia, i cui romanzi, comeKitchen, N.P., Sonno profondo (tutti editi da Feltrinelli), sono scritti con uno stile semplice e al tempo stesso intimo; si distinguono anche Rieko Matsuura con Corpi di donna (Marsilio, 1996), Shungiku Uchida con Father Fucker (Marsilio, 2003) e ancora Mariko Hayashi e Shoko Ieda, scrittrici accomunate dal desiderio di proporre storie – anche di derivazione autobiografica – affrontando temi delicati ma assolutamente “comuni”, come la prostituzione, l’omosessualità, la violenza, gli abusi sessuali, i malati di AIDS, raccontati con un modo espressivo che ricorda molto quello dei manga.
E proprio i fumetti giapponesi rappresentano una delle forme artistiche che hanno ottenuto maggior successo qui in Italia, riuscendo a conquistare non soltanto i più giovani, ma anche il pubblico degli adulti. I manga e gli anime (dall’inglese animation, cioè cartoni animati) non sono una novità nel nostro Paese, abbiamo imparato a conoscerli da almeno trent’anni: basti pensare a classici come Goldrake, Heidi o Lupin III, ma nell’ultimo decennio c’è stato il proliferare di protagonisti di storie molto più smaliziate rispetto al passato. È il caso dei cosiddetti hentai e shonen ai. Mentre i primi sono fumetti a sfondo esplicitamente erotico, perlopiù di genere eterosessuale (lett. hentai significa “perversione”, ma non c’è nulla di depravato nelle storie raccontate), gli shonen ai (lett. “amore tra ragazzi”) sono manga che raccontano le vicende sentimentali e amorose omosessuali di fanciulli o di giovani uomini, ma al contrario di quanto si possa immaginare non sono pensati per un pubblico gay, sono realizzati da autrici donne per lettrici donne. In Italia la Kappa Edizioni pubblica la serie Kizuna, disegnata dalla regina incontrastata di questo genere di manga, Kazuma Kodaka, mentre la Flashbook si è da poco cimentata con la pubblicazione di Gokuraku Cafè di Mamahara Ellie, un fumetto che mescola elementishonen e shojo (i manga per ragazzine tipo Sailor Moon o Hello Kitty). Esistono anche anime che trattano tali argomenti e, oltre al circuito dei DVD, vengono trasmessi da emittenti televisive tematiche come la satellitare Gay Tv.
Gli appassionati di manga e di anime vengono abitualmente definiti col termine giapponese otaku (lett. “casa altrui”), indicando in questo modo la loro abitudine a trascorrere la maggior parte del tempo libero in casa o, meglio, nella propria stanza da letto stracolma di fumetti, di videogiochi e di moltitudini di oggettini ispirati ai personaggi più famosi, per coltivare la loro grande passione. A dimostrazione della rilevanza di questa realtà, che si sta diffondendo tra le nuove generazioni italiane, quello degli otaku e del loro spazio vitale è stato anche il tema esposto al Padiglione del Giappone alla IX Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia che si è conclusa poche settimane fa. Per rimanere in tema di architettura, negli ultimi anni sembra che l’Italia sia sempre più attratta dalle linee e dalle forme dei grandi progettisti giapponesi. Basta fare un giro per il Belpaese ed ecco che a Bologna svettano le modernissime torri bianche del polo fieristico disegnate da Kenzo Tange, a due passi da Treviso, a Catena di Villorba, c’è la nuova sede di Fabrica, il centro ricerca della Benetton, realizzato da Tadao Ando sopra uno specchio d’acqua, mentre a Firenze il nuovo volto degli Uffizi dovrebbe essere legato al nome di Arata Isozaki (il condizionale è d’obbligo in quanto, seppur vincitore del concorso, il progetto dell’architetto nipponico ha incontrato le resistenze del Ministero dei Beni Culturali, soprattutto a causa dell’ormai celebre “pensilina”), lo stesso che ha progettato il nuovo stadio dell’hockey su ghiaccio di Torino per le Olimpiadi Invernali del 2006, e che ha disegnato uno dei tre grattacieli che sorgeranno nell’area della nuova Fiera di Milano.
Il capoluogo lombardo, in particolare, negli ultimi anni ha dimostrato di avere uno spiccato interesse per le diverse espressioni artistiche del Sol Levante, soprattutto per le stampe e le illustrazioni realizzate tra il XVIII e il XIX secolo: gli ukiyoe, quelle “immagini del mondo fluttuante” che ebbero una grande influenza sugli impressionisti europei di fine ’800. In occasione dei 150 anni dalla morte del maestro di questa forma d’arte, Katsushita Hokusai (1760-1849), nell’ottobre del 1999 si inaugurò a Palazzo Reale la mostra “Hokusai, il vecchio pazzo della pittura”, in cui vennero esposte ben 500 opere, richiamando migliaia di visitatori che per la prima volta si avvicinavano a un tipo di pittura nella quale potevano riconoscere i tratti semplici ed essenziali tipici dei moderni fumetti e dei cartoni animati giapponesi. Grande successo ha avuto anche la mostra “Ukiyoe. Il mondo fluttuante”, terminata lo scorso 30 maggio, sempre nelle sale di Palazzo Reale di Milano in cui erano esposte circa 500 opere dei più grandi pittori del genere: oltre a Hokusai c’erano le stampe di Moronobu, Utamaro, Hiroshige, Kuniyoshi, Harunobu, tutte opere che con ricchezza di immagini e di colori testimoniano i vari aspetti di quello stile di vita (ukiyo) della classe mercantile giapponese del ’700-800 basato sui piaceri effimeri e fuggevoli da consumare nei teatri, nelle sale da tè, nei bordelli, nelle feste e nella moda.
Rimanendo in tema di divertimenti e di intrattenimento non possiamo non menzionare il costante interesse che la stampa, i distributori e soprattutto gli spettatori italiani stanno dimostrando per il cinema nipponico, un tempo conosciuto esclusivamente per poche grandi pellicole di Akira Kurosawa o di Nagisa Oshima. Tra i personaggi più amati oggi c’è senz’altro il regista-attore Takeshi Kitano, autore di film come Hana-bi (nel 1997 Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia), Dolls, Brother e Zatoichi, ma oggi abbiamo la possibilità di avvicinarci anche ad altri registi giapponesi – e di tutto il continente asiatico – grazie a rassegne cinematografiche dedicate alle pellicole orientali, come il Far East Film Festival di Udine giunto alla 6ª edizione e l’Asiatica Film Mediale di Roma, la cui 5ª manifestazione si è conclusa la scorsa settimana.
Il Giappone è entrato in Italia anche in altri campi, come quello medico, con una disciplina che coniuga la cura del corpo al benessere della mente: lo shiatsu (lett. shi = dito e atsu = pressione), eseguito con gesti estremamente lenti, senza sforzo muscolare, utilizzando soltanto il peso del corpo, il tutto in una condizione di calma e di silenzio. Ultima novità nelle tecniche di rilassamento è una variante dello shiatsu: il watsu. Si tratta di una disciplina acquatica (il nome è la contrazione di water shiatsu) praticata in coppia all’interno di piscine con acqua molto calda (intorno ai 35°), con un insegnante che ti sostiene il corpo e che alterna allungamenti e digitopressioni, facendoti raggiungere una sensazione di perfetto equilibrio tra fisico e psiche. Tutt’altro effetto ebbe sugli spettatori del Teatro alla Scala di Milano, esattamente cento anni fa, la prima della Madama Butterfly di Giacomo Puccini, il cui debutto fu un vero fiasco, ma il compositore lucchese fu davvero lungimirante: il fascino del Sol Levante è ancora più vivo che mai.