Un incontro-scontro tra un’antichissima cultura e il culto sfrenato per il futuro. Grattacieli postmoderni dalle forme più singolari, migliaia di strade e viuzze senza nome che si intrecciano in un enorme groviglio. E la notte…
Una distesa interminabile di minuscole case super hi-tech, migliaia di automobili incolonnate ordinatamente nel perenne traffico quotidiano, una fittissima rete di metropolitane che spaccano il secondo, folate di fumo e tintinnii infernali che fuoriescono dalle vetrate automatiche dei locali di pachinko, immagini e riferimenti sessuali dappertutto. È Tokyo, una megalopoli della tecnologia con più di 14 milioni di abitanti che ogni giorno conducono una vita scandita da ritmi a dir poco frenetici, sia nel lavoro sia nei divertimenti. È una città eccessiva, piena di contraddizioni, ma allo stesso tempo sicura ed estremamente eclettica, un vero e proprio agglomerato di tanti satelliti: Ginza, Shibuya, Shinjuku, Roppongi, Harajuku, Omotesando, immensi quartieri da un milione di abitanti e ognuno con una natura molto peculiare, dove nascono e proliferano mode, tendenze, stili di vita ed espressioni linguistiche che caratterizzano ciascuna delle numerosissime tribù urbane di questa gigantesca metropoli.
Tra i giovani di Tokyo impazza la cultura kawaii (carino, grazioso) che conta numerosi modi di essere, dall’aspetto infantile e bamboleggiante da “Hello Kitty” delle ragazze burriko, alle uniformi collegiali tipo “Sailor Moon” delle kogyaru, fino ai volti iperlampadati e supertruccati delleganguro e delle yamamba. La caratteristica comune a tutte le giovani che seguono l’uno o l’altro stile, oltre naturalmente alla voglia di sentirsi appartenenti a un gruppo ben riconoscibile, è il desiderio di apparire provocanti, ingenue e maliziose, tutte peculiarità che attirano in maniera irresistibile una figura urbana che negli ultimi anni si è diffusa a macchia d’olio: il chikan, letteralmente “pervertito, maniaco sessuale”, ma è più indicato definirlo come il classico “manomorta” che si aggira nei treni, negli autobus e nelle metropolitane. A Tokyo, soprattutto nelle ore di punta, i mezzi di trasporto si riempiono fino all’inverosimile e addetti in guanti bianchi sistemano, o meglio pressano, con precisione chirurgica i passeggeri l’uno su l’altro, perciò è facile intuire come questo scenario sia il paradiso per i molestatori che vanno alla ricerca delle loro vittime preferite: le giovani studentesse. Lo stesso accade anche di sera e nei fine settimana, quando i sarariman(impiegati) ubriachi si lanciano in imprese poco edificanti. Questo fenomeno è talmente diffuso che le autorità giapponesi hanno adottato una politica di tolleranza zero verso i chikan, avendo distribuito condanne esemplari. Da qualche anno, inoltre, alcune compagnie che gestiscono le linee metropolitane di Tokyo hanno introdotto un vagone per sole donne durante le ore notturne.
Proprio di notte la grande metropoli giapponese tira fuori il meglio (o per alcuni il peggio) di sé, offrendo una varietà incredibile di divertimenti, dai locali a tema alle sale giochi, dai ristoranti di ogni etnia ai karaoke, ma a farla da padrone c’è l’offerta del sesso a pagamento nei cosiddettikanrakugai, i “quartieri di piacere”. Queste “oasi del godimento” hanno origine nei secoli XVII-XVIII, in pieno periodo Tokugawa, quando i ceti mercantili impiegavano tutto il loro tempo libero e il loro denaro nei teatri, nelle sale da tè e nei bordelli concentrati in aree ben precise delle città, come lo Yoshiwara di Edo (l’odierna Tokyo), lo Shimabara di Kyoto e lo Shimachi di Osaka. Oggi nella capitale nipponica, quartiere di piacere fa rima con Kabuki-cho, una vera e propria mecca del sesso tra i grattacieli e i centri commerciali di Shinjuku. Qui le mille luci della sera si accendono sui saloni di massaggi “particolari” cinesi e coreani, sui locali dove si pratica il sadomaso, sui teatrini per guardoni, sui bar con le cameriere che girano nude, sui night club per gay e lesbiche, sulle case di appuntamento, sui pornoshop. A ogni angolo delle strade uomini dall’aria furtiva invitano i passanti a sperimentare le meraviglie del sesso offerte dal proprio bar, insegne luminose indicano la tipologia e i prezzi delle prestazioni sessuali, le cabine telefoniche, i muri e i semafori sono tappezzati da volantini con i numeri e gli indirizzi di locali di ogni tipo.
Una delle forme di intrattenimento più classica è costituita dagli hostess bar, in cui ragazze vestite o travestite in ogni maniera socializzano e adulano chiunque sia disposto a spendere parecchi yen per bere e mangiare. Se il cliente desidera “andare oltre”, basta fare un cenno allamamasan (maitresse) per concordare il prezzo e appartarsi in una stanzetta tranquilla. Poi ci sono i locali specializzati in giochi di ruolo, i cosiddetti image club, in cui la fantasia non conosce confini e l’avventore si maschera e interpreta un personaggio a suo piacimento, interagendo con una o più ragazze accondiscendenti, in un ambiente allestito ad hoc: un ufficio, una sala operatoria, un vagone della metropolitana. Un’altra meta preferita dagli habitué della notte sono itelephone club, in cui il cliente alza la cornetta per parlare con una ragazza, con la quale, dopo averle raccontato tutte le sue frustrazioni derivanti dallo stress dell’ufficio, stabilisce il prezzo per concludere piacevolmente la serata. Molto apprezzate sono anche le cosiddettesoap land, le terre del sapone, che hanno un’antica tradizione e che oggi sono grandi centri di “benessere” attrezzati con vasche idromassaggio, lettini, unguenti, profumi e ovviamente prostitute con le quali condividere questo ambiente rilassante. I locali di Kabuki-cho sono in grado di accontentare tutti, anche i feticisti più capricciosi: nei centinaia di sexy e pornoshop, infatti, oltre alle videocassette e ai “soliti” oggetti di piacere, si può acquistare anche biancheria intima usata sottovuoto con tanto di certificato di garanzia e foto dell’ex proprietaria, in genere una studentessa minorenne che ha bisogno di soldi per potersi permettere gli ultimi accessori e gadget di tendenza. Ce n’è per tutti i gusti, basta scegliere.
Love Hotel: non chiamateli motel…
Un tempo erano semplicemente degli alberghetti a ore dove le coppie trascorrevano un po’ di intimità, oggi sono diventati la meta preferita da chi è alla ricerca di qualcosa di originale. Sono i rabu hoteru (love hotel). Hanno insegne coloratissime, architetture appariscenti, letti a forma di cuore, di automobile o di ring pugilistico, giostre, vasche, strumenti sadomaso, specchi ai soffitti, luci di ogni genere, dvd porno, karaoke, videogiochi e tutto quello che si può immaginare. La caratteristica principale è la discrezione assoluta: non c’è un portiere o un conciergein carne e ossa, non si deve lasciare nessun documento, non si incrocia lo sguardo di nessuno, ma si spinge un bottone, si parla a un citofono, si paga e si ricevono le chiavi della stanza da uno sportellino. Un “riposino” di 90 minuti in un love hotel può costare dai 3.500 ai 5.500 yen.
Bizzarrie: i micro hotel
Una delle attrazioni più particolari di Tokyo, e di tutto il Giappone, sono i capuseru hoteru (capsule hotel), cioè gli “hotel capsula”. Questi micro alberghi sono nati negli anni Settanta nei pressi delle stazioni ferroviarie per consentire ai pendolari e agli uomini d’affari di rilassarsi o di fare un breve riposino prima di proseguire nel viaggio in treno verso casa. Ogni hotel conta fino a 600 cuccette (o capsule) di 150 cm per 200 cm, munite di ogni comfort, dalla televisione alla sveglia, dall’aria condizionata alla radio, alcuni sono attrezzati anche con distributori automatici, ristorantini, saune, palestre. Fino a pochi anni fa erano riservati esclusivamente agli uomini, oggi possono ospitare anche le donne. I prezzi variano a seconda dell’offerta, dai 2.800 ai 4.000 yen all’ora.
La mostra: Ukiyoe, il mondo fluttuante
Oltre 500 opere tra stampe, libri, illustrazioni e dipinti realizzati dai più grandi pittori del genere, addirittura un doppio paravento a otto ante proveniente dalla Honolulu Academy of Arts per la prima volta esposto in Europa. È la mostra Ukiyoe. Il mondo fluttuante, organizzata da Artemisia e curata da Gian Carlo Calza, inaugurata lo scorso 7 febbraio al Palazzo Reale di Milano e che durerà fino al 30 maggio. Ukiyo è un termine di origine buddhista che indicava la caducità e l’inutilità dell’attaccamento alle cose materiali, terrene e quotidiane dalle quali il buon religioso doveva fuggire. A partire dal XVII secolo, tuttavia, il significato fu completamente ribaltato dal ceto mercantili che fece della parola ukiyo il proprio stile di vita, cioè valorizzò e inseguì i piaceri effimeri e fuggevoli di quel mondo fluttuante condannato in precedenza: teatri, sale da tè, bordelli, feste, moda, tutti aspetti di vita quotidiana testimoniate dalla ricchezza di immagini e di colori delle pitture di questo mondo fluttuante, cioè gli ukiyoe. Promossa dal Comune di Milano, dalla Provincia di Milano e dalla Regione Lombardia, la mostra raccoglie opere dei più grandi pittori di quest’arte: Moronobu, Harunobu, Utamaro, Hokusai, Hiroshige, Kuniyoshi, mentre il percorso espositivo è diviso in sei sezioni tematiche: teatro, tradizione, natura, paesaggio, vita di città e beltà femminile. Da non perdere.